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MEMORIE DI UNA DUCHESSA

“A volte basta un gesto, uno sguardo, forse un sorriso, e tutto cambia all’istante. Quello che credevate un nemico diventa un amico. Quello che credevate un amico diventa un potenziale amante.” (da: Memorie di una Duchessa, Lady B. Project)

martedì 17 gennaio 2012

Prologo di "Memorie di una Duchessa", il mio primo romanzo!

“Fu il giorno più triste della mia vita, ma fu anche il giorno in cui il destino si mise in moto. Da allora, da quel lontano 21 Novembre, tutto ebbe inizio.” (da: Memorie di una Duchessa, 1889)

Staffordshire, Inghilterra,1864

Freddo era tutto ciò che sentiva, un freddo gelido che le perforava le ossa. Era soltanto Novembre, ma il freddo cominciava già a farsi sentire con prepotenza. Il suo sangue italiano non si sarebbe mai abituato al clima rigido dell’Inghilterra. Tuttavia, non le importava granchè del gelo che sentiva sulla pelle, perché era niente in confronto a quello che aveva dentro. 
Si voltò appena per scrutare il viso devastato di sua madre. Copiose lacrime avevano scavato dei solchi lungo le sue guance, una volta tonde e rosee, ora pallide e smorte. Sembrava anche lei un cadavere. La piccola Selly si chiese che aspetto avesse il suo di viso. Era anche lei così pallida, aveva anche lei quello sguardo vuoto, perso, disperato, di sua madre?
Selly non aveva pianto. Avrebbe voluto, ma non ci riusciva. Magari se avesse pianto qualcuno sarebbe accorso ad abbracciarla, a stringerla, a confortarla. Invece era lì, sola, immobile, al fianco di una madre che non aveva forze neppure per risollevare se stessa.
Sua nonna se ne stava ritta a pochi metri da loro, austera e dignitosa come sempre. Neppure lei aveva pianto, pur avendo perso suo figlio, il suo adorato, diletto Edward. 
Una volta Selly aveva sentito dire da sua madre che per un genitore sopravvivere alla morte di un figlio era la cosa peggiore che potesse capitare. Chissà come si sentiva ora la nonna. Lo nascondeva bene, dietro i suoi freddi occhi blu. 
E nei suoi occhi? Gli altri potevano vedere il vuoto infinito che sentiva dentro? Qualcuno aveva capito quanto si sentisse persa e smarrita senza il suo forte e amato papà?
Il prete continuava con quell’infinita serie di parole confuse, prive di significato. Non riusciva a seguire una sola frase, sentiva solo un mormorio costante, che le giungeva come un sottofondo fastidioso. Perché non la smetteva? Perché infastidiva il suo papà, il loro dolore, con tutte quelle parole inutili?
Selly avrebbe tanto voluto riuscire a concentrarsi sul suono prodotto dal fruscio del vento. Forse il vento avrebbe potuto portarle un messaggio del suo papà. Immaginò la sua profonda voce mormorarle: “Ti voglio bene”. “Anch’io”. Avrebbe voluto rispondere, ma aveva la bocca serrata.
L’immobilità era una specie di difesa: aveva l’impressione che se si fosse mossa, si sarebbe infranta in mille pezzi. 
Una goccia d’acqua cadde sulla sua testa. Stava per piovere. 
Con orrore pensò che il suo papà si sarebbe bagnato. Che sciocchezza! Che importanza poteva avere se si fosse bagnato? Ormai era solo un involucro senza vita quello che giaceva nella bara a pochi passi da lei.
Si ritrovò poi a pensare che il suo papà avrebbe odiato tutto quel nero e quei volti lugubri. Lui amava le risate, amava i colori vivaci dei vestiti della mamma, amava il verde delle foglie e l’azzurro del cielo. “E il blu dei tuoi occhi” le disse la voce di suo padre nella sua mente. Quel ricordo le fece mancare il respiro. Chi le avrebbe detto, ora, che i suoi occhi erano blu come il mare in tempesta? Chi le avrebbe insegnato a prendersi cura delle creature del bosco? Chi l’avrebbe tenuta stretta quando piangeva per una caduta o un ginocchio sbucciato? Nessuno lo avrebbe fatto. Nessun altro uomo l’avrebbe mai più protetta. Doveva imparare a cavarsela da sola, perché ormai era sola.
Un’altra goccia cadde sulla sua testa. Si constrinse ad alzare gli occhi dal suolo e a guardare il cielo plumbeo. Se avesse piovuto molto, forse lei avrebbe potuto piangere liberamente e nessuno se ne sarebbe accorto. Nonostante il desiderio di essere consolata, piangere le sembrava un atto troppo intimo per farlo davanti a tante persone. Il suo dolore era solo suo, non le andava che qualcuno potesse guardarlo, spiarlo.
Si accorse che il mormorio del prete era finito. Qualcuno la stava sospingendo verso il fossato in cui giaceva suo padre. Era arrivato il momento di dirgli addio.
Selly camminò come un automa fino ai bordi del fosso. Con mano tremante lasciò cadere il piccolo fiore. Il lieve rumore che produsse l’impatto dei morbidi petali con il legno scuro non lo avrebbe mai dimenticato.
Voltandosi, ebbe una visione completa della scena. All’improvviso le sembrò tutto troppo cupo ed opprimente. Tutto quel nero dei vestiti, il marrone delle foglie cadenti, il grigiore del cielo, tutto le faceva venir voglia di fuggire lontano, verso un luogo luminoso, che la riscaldasse, un luogo in cui il cielo non sembrasse volerle ricordare il dolore della sua perdita, ma che l’aiutasse a tirarsi su, a farsi forza, a ricordare l’allegria dei momenti felici di quando lui era in vita. Non aveva bisogno di un cielo che piangesse con lei, aveva bisogno di un cielo che l’aiutasse a ritrovare il sorriso. Era sicura che fosse ciò che suo padre volesse. Quando era vivo non le aveva mai permesso di essere triste, ora toccava a lei essere forte e andare avanti, per se stessa e per la sua povera madre.
Un’ora dopo la piccola Selly si ritrovò seduta sulla grande poltrona del salotto. Qualcuno doveva averle messo in mano un piatto di cibo, ma lei non l’aveva neppure toccato. Nessuno le badava. I grandi erano intenti nelle loro conversazioni sommesse, le zie erano tutte intente a consolare sua madre, che aveva ripreso a piangere e singhiozzare. Non aveva mai visto Herbert House così piena di gente, eppure così triste, così silenziosa, così tetra. Posò il piatto e sgusciò fuori in terrazzo, almeno lì all’aperto contava di non sentirsi più soffocare da tutto quel nero.
Prese un profondo respiro e cercò di concentrarsi sulla vista degli alberi suoi amici e sul rumore della pioggia che accarezzava ogni cosa, ma non ci riuscì. E ora che finalmente era sola, non seppe più frenare le lacrime che per tutto il giorno aveva ricacciato indietro. Cominciò a piangere sommessamente, cercando di non singhiozzare, di non fare rumore, di asciugarsele velocemente, in modo che se qualcuno fosse uscito e l’avrebbe vista magari avrebbe potuto nascondere il fatto che stesse piangendo. Non si era accorta che qualcuno sulla terrazza c’era già. Qualcuno che le si era avvicinato piano e ora le era accanto.
Lo sconosciuto le stava accarezzando il capo con dolcezza. Selly non aveva mai visto qualcuno così alto in vita sua. Le sembrò un gigante spuntato da una delle sue favole. Alzò il piccolo capo bruno e cercò di guardarlo in viso. Vedendo che lei si sentiva sovrastata dalla sua statura, il gigante si abbassò alla sua altezza.
“Sei la figlia di Edward?” Le chiese. Lei annuì, asciugandosi le lacrime.
“Ti ricordi di me? Abito proprio nella tenuta a fianco alla tua.” Le disse sorridendo. Selly annuì di nuovo, incapace di parlare. In realtà non aveva ben capito chi fosse quel ragazzo così alto e bruno, ma pensò che fosse uno dei membri della famiglia Lawrence, loro vicini.
“Sai, anch’io quando ero piccolo ho perso il mio papà…e la mia mamma anche.” Le disse, continuando a sorridere con dolcezza.
“Davvero?” Mormorò la piccola Selly.
Lui annuì. “E’ una cosa brutta, vero? Ti senti molto solo quando accade, ma poi passa, sai. Tu hai ancora la tua mamma. Vedrai che presto lei smetterà di essere così tanto triste e tornerà a occuparsi di te come ha sempre fatto. Non è vero che l’ha sempre fatto, piccola Selvaggia?”
Selly si stupì oltremodo del fatto che il gigante sapesse il suo nome per intero. Nessuno, eccetto la sua governante, la chiamava mai così.
“Ma la mamma non può proteggermi come faceva il mio papà.” Obiettò quando ebbe ritrovato la voce.
Il gigante sorrise ancora. “Adesso sei piccola e la mamma può proteggerti benissimo. Ma quando sarai grande e avrai davvero bisogno di qualcuno che ti protegga, ti prometto che verrò qui a prenderti e ti sposerò, così che nessuno potrà mai farti del male. Che ne dici? Sei più tranquilla ora?”.
Selly non rispose ma si lanciò fra le braccia del gigante, che dolcemente la sollevò da terra e la riportò in casa, dove la poggiò sulla grande poltrona su cui era seduta prima. Le sorrise ancora, con i suoi neri occhi benevoli. Selly pensò che non avrebbe mai dimenticato quegli occhi, né la sua promessa, anche se avrebbe dovuto aspettare tanti anni, prima di diventare grande. Lo osservò allontanarsi tra la folla di persone che riempivano casa sua, per poi addormentarsi subito dopo, rannicchiata sulla poltrona morbida, col cuore un po’ meno in pena. Certo non avrebbe mai immaginato che quella fosse l’ultima volta che avrebbe visto il gigante gentile. Almeno non prima che passassero lunghi, lunghissimi anni.

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