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MEMORIE DI UNA DUCHESSA

“A volte basta un gesto, uno sguardo, forse un sorriso, e tutto cambia all’istante. Quello che credevate un nemico diventa un amico. Quello che credevate un amico diventa un potenziale amante.” (da: Memorie di una Duchessa, Lady B. Project)

martedì 17 gennaio 2012

Madame Rouge, Capitolo 1

Ho ripreso fra le mani un romanzo che avevo iniziato a scrivere, dal titolo "Madame Rouge", che non ho mai finito. Devo dire che quella volta ho superato me stessa, non ho mai creato un personaggio femminile tanto interessante quanto Giulia. Stupefacente. Mi congratulo con me stessa! Il problema era che è un romanzo complicato, più impegnativo e richiedeva tempo e pazienza. Ma lo finirò, giuro che lo finirò. Se lo merita quel romanzo!
Ecco il primo capitolo:

Parigi, Novembre 1889
Parigi, 1889
Il fuoco scoppiettava quieto nel camino. Il silenzio era rotto solo dal crepitare delle fiamme, dall’eco della pioggia che cadeva ininterrottamente battendo contro le finestre e dal suono maledettamente piacevole del liquido che scorreva dalla bottiglia al bicchiere mezzovuoto.
Philippe osservò il liquido rosso scuro e pensò che somigliasse a sangue. Si rigirò il bicchiere fra le mani e se lo portò alla bocca. Ne bevve due sorsi, lentamente, assaporando, gustando il sapore vellutato del pregiato vino francese. Poi, chissà come, si ritrovò a vuotarlo tutto d’un fiato.
Quando ebbe ingoiato anche l’ultima goccia rimasta, restò a fissare la mano tremante che teneva il bicchiere. Con un sospiro lo poggiò sul tavolino di fianco alla sua poltrona e si lasciò cadere contro lo schienale. Chiuse gli occhi per un minuto e quando li riaprì qualcuno stava bussando discretamente alla porta del suo salotto. La porta si aprì e la testa grigia di Charles, il maggiordomo, fece capolinea nella stanza.
“Monsieur, c’è una donna di sotto che chiede di vedervi.”
Philippe alzò un aristocratico sopracciglio in segno di disappunto. “A quest’ora?”
Le lancette dell’orologio segnavano quasi mezzanotte. Il maggiordomo parve imbarazzato, ma tenne lo sguardo fisso sul volto di Philippe. “La…signora…è piuttosto insistente. L’ho mandata via già tre volte e tutte e tre le volte è tornata a battere alla porta come una…una…forsennata, monsieur.”
Philippe avrebbe riso, se si fosse ricordato come si faceva. “Vabene, Charles, falla salire. Con questa pioggia probabilmente sarà inzuppata come un pulcino. Ha detto almeno come si chiama?”
“Madame Laurent. Valerie Laurent.”
Philippe si strinse nelle spalle. Quel nome non gli diceva niente.
Vedendo che il suo signore non accennava ad altro, il maggiordomo si diresse con dignità ad accogliere quella inattesa sconosciuta.
Valerie era ormai zuppa fino al midollo, quando quel vecchio senza cuore era finalmente venuto ad aprirle per farla entrare. Aveva persino indossato uno dei vestiti della signora per potersi presentare con abbastanza dignità alla porta di un uomo come Monsier Dubois, ma era stata trattata ugualmente con sgarbato disprezzo e crudele indifferenza.
“Monsieur Dubois ha deciso di ricevervi.” Le comunicò il maggiordomo accennando ad una smorfia di disgusto.
Maledetto vecchio! Avrebbe voluto gridare Valerie e invece si stampò un bel sorriso irriverente sulla faccia e si accinse a seguirlo attraverso i corridoi semibui della casa, sgocciolando con muto piacere sui bei tappeti Aubusson.
Philippe non sapeva bene cosa si era aspettato di vedere, ma non era certamente quello. Una donna completamente bagnata dalla testa ai piedi lo fissava con aria sprezzante, in piedi sull’uscio della porta del salotto. Sarebbe potuta apparire persino rispettabile con indosso quel semplice vestito grigio di velluto, anche se intriso d’acqua, se esso non fosse stato troppo piccolo per le forme procaci, se il paletot non fosse stato troppo corto, se i suoi capelli sobriamente raccolti non fossero stati di un rosso acceso e palesemente tinti.
Era una prostituta. Era indubbiamente una prostituta. Il punto era: cosa ci faceva una prostituta vestita da signora in casa di un uomo rispettabile come lui che non si era mai nemmeno avvicinato ad un bordello, per di più ad un orario del tutto sconveniente?
La ragazza notò il cipiglio perplesso di Monsieur Dubois e accennò ad un sorriso. “Intendete invitarmi a sedere o devo restare per tutto il tempo in piedi mentre voi mi fissate con la bocca aperta?”
Philippe si irrigidì ancora di più. Con sguardo duro fissò la donna e le indicò la poltrona di fronte alla sua, quella più vicino al fuoco. “Sedete pure, madame.” L’ultima parola fu pronunciata con evidente sarcasmo, ma lei sembrò non farci caso. Si lasciò cadere sulla poltrona come se fosse esausta e si liberò senza nessuna grazia del cappotto fradicio di pioggia. “Non ho molto tempo.” Esordì, guardandolo dritto negli occhi. Tremava, ma nei suoi occhi scuri brillava una fervida determinazione. Philippe si ritrovò così a provare una sottile ammirazione verso quella donnetta tutta curve, evidentemente decisa a portare a termine chissà quale missione. Una missione che lo riguardava.
“Allora parlate.” La esortò.
Lei annuì. “Sono Valerie Laurent. So che il mio nome non vi dice niente, ma sono sicura che il nome della mia signora vi dirà molto di più.”
Dunque era venuta per conto di qualcun altro. Philippe la fissò con curiosità. “E chi sarebbe la vostra signora?”
“Julienne Rouge.” Lo disse come se fosse stata la più grande rivelazione della storia, ma quel nome Philippe non l’aveva mai udito.
“Non so chi sia questa donna.” le disse.
Lei lo fissò stupefatta, poi ridacchiò. “Certo, voi la conoscete forse come Madame Rouge o…Giulia Rossi.”
Valerie sorrise trionfante nel vedere gli occhi dell’uomo farsi vitrei. Le sue palpebre dalle lunghe ciglia, maledettamente lunghe per un uomo, sbattevano freneticamente e la mano che teneva il calice di vino tremò fino a che il bicchiere cadde sul pavimento, riversando un fiumiciattolo di liquido rosso che imbrattò irrimediabilmente il tappeto.
“Madame Rouge? Mi state dicendo forse che Giulia…Giulia e Madame Rouge sono la stessa persona?” la voce di Philippe aveva perso ogni nota ironica. Deglutiva a vuoto e le sue dita si stringevano sui braccioli della poltrona, affondando nel soffice tessuto porpora.
“Si, monsieur.” Rispose tranquillamente Valerie. Avrebbe voluto continuare subito con ciò che aveva da dirgli, ma si rendeva conto che l’uomo aveva bisogno di un po’ di tempo per digerire la notizia.
“Ho…ho sentito…” Philippe si schiarì la voce, ma sentiva come se gli si fosse formato un groppo in gola. “Ho sentito…” ripetè. Tirò un sospiro e tentò di rilassarsi. Le sue dita si distesero e riuscì a portarsi una mano alla testa. Una vena sulla tempia gli pulsava dolorosamente. “Sta male vero?” chiese ad occhi chiusi. “Giulia sta male. Ho sentito che è stata aggredita…”
Valerie annuì. “Si, è così. Un uomo l’ha aggredita tre notti fa nella sua stessa stanza. Uno delle guardie del corpo di Madame è intervenuto prima che quel bruto la uccidesse, ma l’aveva ferita ad un fianco con il coltello e...” Dovette fermarsi. Le bruciavano pericolosamente gli occhi. Ingoiò le lacrime e continuò. “Ha perso molto sangue e la ferita si è infettata. I medico sta cercando di abbassarle la febbre, di…di…monsieur non sappiamo quanto ancora durerà. Delira e…chiede di voi.”
Philippe aprì gli occhi di scatto. I suoi occhi velati del colore del brandy fissarono scioccati la sconosciuta prostituta come se fosse in trance.
“Chiede di me?”
Lei annuì. “Continuamente.”
“Ma come…come fa a sapere? E voi come facevate a sapere che ero qui a Parigi?”
Valerie gli sorrise dolcemente. “Lei sapeva sempre tutto di vo. E anche noi ragazze, perché lei ci raccontava continuamente del suo Philippe.”
Philippe chiuse gli occhi. Giulia…la sua Giulia. Si era chiesto per anni dove fosse, con chi fosse, se stesse bene. Ritrovarla ora, quando si era recato a Parigi per cercare un’altra donna, la sua amata moglie, era un tragico scherzo del destino. Se solo lei lo avesse cercato prima, se solo fosse venuta da lui…
Che senso aveva ora? Se Giulia fosse morta cosa avrebbe avuto lui se non pochi attimi di gioia nel rivederla e poi soltanto il cupo dolore di una perdita che si ripeteva per la seconda volta?
La rivide come l’aveva vista l’ultima volta, cinque anni prima. L’immagine di una giovane donna, avvolta in un vestito azzurro e nero, cominciò ad apparire davanti ai suoi occhi. Erano ad una festa, la sua festa. Si era da poco fidanzato con la sua amata Nadia e i loro genitori avevano organizzato un ballo in loro onore, nella loro villa di Via Chiaia, uno dei nuovi quartieri di Napoli. All’epoca vivevano ancora tutti lì, nella colorata e calda città partenopea. Erano felici o almeno così aveva pensato Philippe. Aveva attraversato il salone con al braccio la sua fidanzata, entrambi radiosi, pieni di gioia e spensierati. Nadia gli aveva sussurrato qualcosa all’orecchio e lui aveva riso, poi aveva alzato il capo e aveva incontrato lo sguardo di Giulia. I suoi occhi scuri, che da lontano sembravano intrisi di sfumature viola, si erano fissati per un lungo istante sulla giovane coppia. Aveva guardato lei con aria sprezzante, poi aveva guardato lui e il suo sguardo si era colmato di rabbia. Era stato un attimo, poi lei si era voltata e lui era rimasto a fissare la sua nuca ricoperta di riccioli color cioccolato, abilmente raccolti in una tortuosa acconciatura.
“Monsieur? State bene?” la voce di quella donna lo riportò al presente. I suoi occhi si aprirono, fissandola come se non la riconoscesse. “Si.” Mormorò. “Portatemi da lei.”
Philippe non era mai stato in un bordello. L’idea di pagare una donna per avere dei favori sessuali lo disgustava. Aveva avuto poche donne nella sua vita, in realtà. Tutte prima del suo matrimonio. Da quando aveva conosciuto e si era innamorato di Nadia, le era stato scrupolosamente fedele.
Tutto sommato il Rouge Et Noir era un locale piuttosto sobrio, arredato con buongusto, ma senza rinunciare ad essere lussuoso. Era un bordello di prima qualità, non c’era che dire. Valerie lo guidava con passo sicuro attraverso i corridoi ben illuminati ma tristemente silenziosi. Nessuno dei due aveva parlato durante tutto il tragitto in carrozza, né si arrischiavano a farlo adesso.
Salirono all’ultimo piano, da cui provenivano voci ovattate e mormorii indistinti. Philippe cominciò a chiedersi che cosa aspettarsi. Giulia era cambiata? Era la stessa donna bellissima di sempre o i peccati e quell’aggressione brutale l’avevano ridotta a qualcosa che lui non avrebbe sopportato?
Quando mise piede nella stanza dove Giulia riposava, le gambe gli si erano fatte di marmo. Si costrinse ad attraversare l’uscio e ad affrontare quel che c’era all’interno.
Dieci donne si voltarono contemporaneamente verso di lui. Sembravano tutte tese e preoccupate, qualcuna aveva le guance rigate di lacrime, ma quando i loro occhi si posarono su di lui i loro volti si fecero curiosi.
“E’ proprio lui…” mormorò qualcuna. Gli sguardi di quelle donne così colorate, palesemente in contrasto con l’atmosfera cupa che aleggiava in quella stanza, si spostarono dal suo viso alla parete alla loro sinistra. Philippe seguì i loro sguardi e rimase senza fiato. Tutta la parete era dipinta, sicuramente il lavoro di un artista, un artista molto bravo per di più. L’affresco mostrava sullo sfondo il panorama del Golfo di Napoli, con il mare popolato di piccole imbarcazioni e più lontano le onde che si infrangevano contro le mura forti e antichissime di Castel dell’Ovo. In primo piano un uomo e una donna, ritratti ad altezza naturale, si stringevano le mani e si guardavano adoranti. L’uomo fissava la donna con dolce condiscendenza, mentre lei sembrava rapita dagli occhi di lui.
Philippe si avvicinò alla parete e fissò con sgomento il proprio volto e poi quello di Giulia, ritratta di profilo. Un lieve sorriso gli salì alle labbra mentre seguiva con gli occhi la linea del nasino all’insu, della bocca morbida, delle ciglia scure che ombreggiavano i suoi occhi violetti. Tirò un sospiro e si voltò verso le donne che attendevano in rispettoso silenzio. Ora era pronto a posare i suoi occhi sulla piccola figura avviluppata nelle coltri scure dell’enorme letto a baldacchino.
Cercò lo sguardo di Valerie e le fece un lieve cenno del capo. Lei avanzò e senza altre parole tirò un velo e finalmente il volto di Giulia fu visibile ai suoi occhi.
Philippe si avvicinò al letto e scrutò con ossessiva attenzione quei tratti delicati. Aveva un livido scuro sul mento e un sopracciglio spaccato, il suo volto dalla pelle olivastra era pallido, ma per il resto era ancora la stessa ragazza che ricordava.
Gli si stringeva il cuore nel vederla così vulnerabile, lei che era sempre stata tanto forte. Si vantava di essere capricciosa e fin troppo viziata, e ciò corrispondeva a verità, ma Philippe non ricordava che Giulia avesse mai avuto davvero bisogno di qualcuno. Ora però il suo fragile corpo era nelle mani di quelle donne di malaffare e di qualche medico incapace. Philippe non poteva sopportarlo. Si voltò di scatto verso Valerie. “Chi l’ha visitata?” sbottò.
“Il Dottor Martin. Lui dice che non può fare nulla, che…dobbiamo solo aspettare.”
Philippe scosse la testa. “Farò venire il Dottor Bernard, è un mio amico.”
Valerie annuì. Era contenta che adesso ci fosse qualcuno che prendesse in mano la situazione. Loro avevano fatto del loro meglio ma…non era abbastanza.
“Monsieur…” lo chiamò piano. “Perché non mi date questo cappotto bagnato e vi sedete un po’ vicino a lei? Intanto vi prendo qualcosa di caldo da bere e vi porto un asciugamano per i vostri capelli, che ne dite?”
Philippe le rivolse un sorriso tirato. “Grazie.” Mormorò, cominciando a levarsi il cappotto. Non fece neppure caso alle donne che pian piano uscivano dalla stanza, né a null’altro che non fosse il bisogno impellente di guardare Giulia, il suo volto e nulla più.
Valerie tornò con un asciugamano e una tazza piena di thè fumante. “Ecco a voi…” gli disse, mentre gli porgeva l’asciugamano. Philippe se lo passò distrattamente fra i capelli. “Avete qualcuno che possa recapitare un messaggio al Dottor Bernard da parte mia?”
Valerie annuì. “A costo di andarci io stessa.”
Philippe la fissò intensamente. “Dovreste cambiarvi gli abiti.”
Valerì sorrise maliziosa. “Vi preoccupate per una volgare prostituta, monsieur?”
“Mi preoccupo per una persona che ama Giulia quanto l’ho amata io.” Philippe non aveva avuto intenzione di dire qualcosa del genere, eppure quella notte tutto era così irreale da sembrargli di poter dire o fare qualsiasi cosa. Tutte le sue convinzioni, i buoni principi, le regole sociali e gli stupidi pregiudizi quella notte non valevano.
Valerie non sembrò stupita dalle sue parole. Si limitò ad annuire in quel modo pratico che gli stava diventando familiare. “Voglio molto bene alla signora. Tutte noi gliene vogliamo.”
Philippe accennò ad un impercettibile sorriso. “Devo credere allora che sia migliorata con gli anni.” Si interruppe e il suo sorriso si accentuò. “Era odiosa. Ma era la mia migliore amica…”
Bevve un sorso di thè e posò di nuovo lo sguardo su Giulia. Sembrava così quieta nel sonno, così innocente…ma lei innocente non lo era stata mai.
Madame Rouge. Adesso che lo shock iniziale era passato, non gli sembrava così strano associare la ragazza di buona famiglia che era stata la sua più grande amica e la donna più chiacchierata di Parigi che era diventata. Non ricordava neppure un momento in cui lei avesse mostrato una qualche forma di ingenuità o di candore infantile. Neppure da bambina.
La ricordò com’era a dodici anni, la prima volta che si erano incontrati. Era seduto in camera di Giorgio, il primo amico che si era fatto a Napoli, che tra l’altro era il figlio più grande del socio di suo padre, Giovanni Rossi. Giorgio era uscito un attimo per prendere un libro da prestargli per la scuola, quando una figuretta ammantata di merletti e fiocchetti bianchi aveva fatto il suo ingresso. Aveva dei lunghissimi capelli bruni, finemente acconciati in boccoli che le scendevano sulle spalle minute e un sorriso birichino che le provocava due graziose fossette ai lati della bocca. “Buongiorno, signore.” Lo aveva salutato, senza nessun tipo di timore o vergogna. “Buongiorno, mademoiselle.” Aveva risposto lui, sorridendole con condiscendenza.
“Siete francese?” gli aveva chiesto ancora lei.
“Si, mademoiselle.” Aveva risposto educatamente lui.
“Oh, lasciala perdere Philippe! E’ solo la mia sciocca sorellina…” Giorgio le aveva scompigliato i capelli e lei gli aveva subito rivolto uno sguardo assassino. Si era acconciata i boccoli con una dignità propria solo delle donne adulte e aveva deliberatamente ignorato il fratello più grande.
“Un signore distinto come voi non dovrebbe essere amico di mio fratello. E’ un barbaro.” Aveva decretato.
Philippe era scoppiato a ridere. “Davvero? Non mi sembrava, ma grazie dell’avvertimento.”
“Giulia smettila di dire sciocchezze e vattene a giocare con le bambole. Qui abbiamo cose serie da fare.” Aveva sbottato Giorgio.
“Ovvero? Far finta di studiare mentre in realtà riempi la testa al nostro povero ospite riguardo la tua sciocca infatuazione per la signorina Della Valle?”
Giorgio era diventato paonazzo per la vergogna e l’aveva cacciata via senza riguardo, mentre lei rideva e continuava a prenderlo in giro senza pietà.
La sua risata giocosa e irriverente gli risuonava ancora nelle orecchie. All’epoca lui e Giorgio erano ancora due quindicenni nel pieno dell’adolescenza che credevano di essere già uomini. Cosa avrebbe dato per poter ritornare a quei giorni spensierati!
Loro tre insieme, i giochi, le risate, i battibecchi continui dei due fratelli…com’era facile la vita allora! Poi però Giulia era cresciuta, loro due erano cresciuti, e tutto era cambiato.
“Monsieur Dubois…” lo chiamò una voce alle sue spalle. Si voltò e vide che era una delle donne che abitavano quel bordello, ma non era Valerie. Lei se n’era già andata e lui non se ne era neppure accorto.
La donna che aveva interrotto i suoi pensieri era stata di certo una prostituta come tutte le altre, ma sembrava ormai troppo in avanti con gli anni per essere ancora attiva nel suo lavoro. Dunque doveva essere la socia di Giulia, Madame…il nome gli sfuggiva, ma era certo che fosse lei.
“Si?”
“C’è qui un amico di Julienne che vorrebbe vederla. Voi permettete?”
Philippe si irrigidì. Non aveva voglia di incontrare uno degli “amici intimi” di Giulia e odiava che la chiamassero Julienne. Tuttavia annuì, non aveva alcun diritto di vietare a qualcuno di vederla. Non era suo fratello, non era suo marito. Era solo un vecchio amico che lei si era lasciata alle spalle.
Lo sconosciuto entrò cautamente e restò per un bel po’ a fissarlo imbambolato, prima di decidersi a venire avanti. Era un uomo bassino, dall’aspetto gradevole e di sicuro doveva essere molto giovane. Forse più giovane di lui.
“Voi…voi siete Philippe?” gli chiese timidamente.
“Monsieur Dubois.” Philippe lo fulminò con lo sguardo. A quanto pareva tutti sapevano lui chi fosse, mentre lui non conosceva nessuno. Non sapeva più nulla della vita di Giulia, mentre tutti quegli sconosciuti sembravano conoscere fin troppo.
L’uomo annuì. “Certo. Io sono Andrè, Andrè Delacroix.” Lo raggiunse e lanciò uno sguardo penoso alla donna addormentata nel letto. “Come sta?” chiese.
“A quanto pare non bene.”
“Sono stato con lei tutta la giornata, oggi la febbre era alta e delirava. Mi sembra che adesso sia tranquilla. Forse sta meglio.” Azzardò l’uomo.
“Ho fatto chiamare un altro dottore. A breve sarà qui. Deciderà lui se sta meglio oppure no.” ribattè Philippe.
Andrè non rispose. Sedette sulla sponda del letto e restò a fissare Giulia, accarezzandole una mano con una familiarità che ormai a Philippe mancava.
“Non pensavo sareste venuto.” Sussurrò ad un certo punto Andrè.
“Pensavate che avrei rifiutato di vedere una vecchia amica?” Philippe sembrava offeso. Andrè alzò gli occhi blu verso quelli ambrati dell’altro uomo per studiarne la reazione. “Julienne mi ha raccontato che non si è comportata molto bene con voi.”
Philippe rimase impassibile. “Giulia…” disse, rimarcando il suo vero nome. “Non si comportava bene con nessuno, ma le volevamo bene lo stesso.”
“Dunque non provate rancore verso di lei?”
Philippe non rispose subito. “E’ passato molto tempo.” Si limitò poi a dire.
Andrè si voltò di nuovo verso la donna distesa nel grande letto. Si stava agitando piano, forse svegliata dai loro mormorii. I suoi occhi violetti si schiusero e si fissarono su Andrè. “Mon ami…” mormorò.
“Sono qui, Julienne. C’è anche Philippe.” Le mormorò Andrè, scostandole una ciocca di capelli dal viso. Philippe si avvicinò di più al letto e la chiamò piano. “Giulia, sono io, Philippe. Sono venuto, hai visto?” le disse in Italiano.
“Philippe…” mormorò piano lei. I suoi occhi si posarono su di lui. Erano vitrei, lievemente arrossati e lo fissavano assenti. “Sei quello vero? Non sei un dipinto?”
“No, chéri, sono vero. Sono venuto qui per te.” mormorò dolcemente. Lei sembrò sorridere. Chiuse piano gli occhi e allungò una mano verso di lui. Philippe la prese fra le sue e la strinse lievemente. “Sei venuto per dirmi addio?” bisbigliò lei, con voce flebile, mentre i suoi occhi restavano chiusi. “No, per aiutarti a guarire.”
“Non andrai da nessuna parte!” intervenne Andrè, con forza. Non avrebbe sopportato di perdere anche lei. Gli occhi del ragazzo si riempirono di lacrime.
Mon ami…non essere triste. C’è Antoine che mi aspetta…”
“Antoine dovrà aspettare ancora un bel po’! Tu resterai qui, perché io ho bisogno di te più di quanto ne abbia lui, hai capito?” sbottò Andrè, le lacrime che ormai scendevano lungo le sue guance senza remore.
Giulia non rispose più e sembrò essersi addormentata di nuovo. Philippe non lasciò la sua mano. Era così piccola e delicata come la ricordava…
“Chi è Antoine?” si azzardò a chiedere, quando Andrè riuscì a ricomporsi.
“Il marito di Julienne.”
“Giulia…si è sposata?” Philippe faceva fatica a crederci. Giulia che apparteneva a qualcuno, Giulia che si sottometteva all’autorità di un marito…gli sembrava impossibile. A meno che…Giulia non avesse manipolato il pover’uomo, facendolo innamorare di sé per sottrargli ingenti quantità di denaro. Quello si, che gli sembrava un atteggiamento congruo alla Giulia che conosceva.
Andrè sorrise. “Era un matrimonio bizzarro. Antoine non era…” si fermò e gli sorrise. “Non era un uomo comune.”
Philippe si accigliò. “Cioè?”
Andrè tornò a guardare Giulia. “Erano molto amici, ma il grande amore di Antoine era un altro. Come d’altronde anche Julienne amava un altro uomo. E noi sappiamo bene chi è.” Il ragazzo rivolse un’occhiata intensa a Philippe che rimase un po’ sconcertato. “State parlando di me?”
“E di chi altro? Non mi sembra che ci sia qualcun altro dipinto a grandezza naturale in questa stanza.”
Philippe sorrise. “Giulia non era innamorata di me. Giulia era solo ossessivamente gelosa di ciò che pensava le appartenesse.”
Andrè si strinse nelle spalle. “Forse non la conoscete poi così bene.”
Philippe non battè ciglio. “Conoscevo bene Giulia, ma non so nulla di Julienne. Posso solo dirvi, dunque, che quello che provava per me la ragazza che è stata non era amore.”
Andrè si volse a guardare il dipinto alle loro spalle. “L’ho fatto io, sapete? Mi ci sono voluti tre mesi per finirlo. Julienne non era mai contenta. Voleva che fosse perfetto. Però quanto abbiamo riso mentre lo realizzavamo.”
“Siete un pittore?”
“Si.”
“Come avete fatto a ritrarmi…?”
“Julienne aveva una vostra foto. Per i colori è stata un’impresa. In effetti credo di avervi dipinto i capelli troppo biondi.” Andrè assunse un’aria meditabonda, come se stesse pensando a correggere quell’errore.
Philippe sorrise. Si ritrovò a pensare che in fondo Andrè era un bravo ragazzo. Gli era simpatico. Evidentemente non era l’amante di Giulia, altrimenti non avrebbe mai accettato di dipingere un altro uomo su quella parete.
Mentre entrambi erano persi nelle loro riflessioni, giunse Valerie insieme al Dottor Bernard, che aveva l’aspetto di qualcuno che è appena uscito dal letto. Aveva i capelli arruffati e i vestiti un po’ scomposti, ma sorrise ugualmente a Philippe.
“Philippe, sono venuto il più in fretta possibile.” Esordì. I due si strinsero la mano, poi Philippe gli presentò Andrè ed infine gli mostrò Giulia.
“Bene.” Disse il dottore, poggiando su una sedia la propria borsa. “Adesso gradirei che usciste tutti, in modo che io possa visitarla. Ah…e per l’amor di Dio…portatemi un caffè!”
Philippe si ritrovò fuori dalla stanza, insieme a una decina di donne che lo fissavano con curiosità morbosa e ad Andrè che parlottava in disparte con la prostituta chiamata Valerie.
Gli sembrò che fosse passata un’eternità quando finalmente Lucas Bernard uscì dalla stanza. Tutti i presenti si affollarono intorno a lui, assillandolo con pressanti domande sulla salute della loro amica, ma fu a Philippe che il dottore si rivolse.
“La ferita è stata ricucita bene e nonostante sia ovvio che sia in atto un’infezione, ha buone possibilità di farcela con qualche aiuto. E’ una donna giovane, in salute, può combattere la febbre, ma avrà bisogno che facciate tutto ciò che vi dirò.”
Le donne sembrarono impazzite a quelle parole. Si profusero in promesse ed esclamazioni di sollievo, speranza e timore. “Calma, signore.” Le ammonì Philippe. “Bernard, per l’amor di Dio, diteci cosa dobbiamo fare perché lei stia meglio.”
L’uomo sorrise. “Le ho applicato dell’olio di iperico sulla ferita e le ho fatto bere un infuso di varie erbe che vi ho lasciato sul comodino. Voglio che le facciate bere un cucchiaio tre volte al giorno e le facciate assolutamente ingerire qualcosa da mangiare, anche se liquido. Cambiate la fasciatura due volte al giorno: la mattina e la sera e ogni volta applicatele l’olio di iperico sulla ferita. Anche quello è sul comodino. La febbre al momento non è molto alta, ma potrebbe di nuovo salire. In tal caso fatele degli impacchi con pezzuole fredde sulla fronte e sul corpo. Più di questo, non possiamo fare. Per ogni evenienza, comunque, io sono a disposizione.”
Philippe lo ringraziò e si offrì di pagargli l’onorario, ma il dottore si rifiutò, spiegando che era stato già enormemente ripagato. Philippe non capì quell’affermazione ma non ci pensò su più di tanto.
Tornò in fretta nella stanza per potersi tornare a sedere al fianco di Giulia, ma scoprì che il suo posto era stato occupato da Valerie. Lei gli rivolse un sorriso teso e fece per alzarsi ma lui scosse la testa. “State pure seduta. Questa sera vi siete già strapazzata abbastanza.” Trovò persino la forza di sorriderle. Ora che la speranza che Giulia si salvasse era stata rafforzata dalle parole del dottore, sembrava che l’aria nella stanza fosse molto meno tesa e tetra.
“Siete un uomo molto gentile, monsieur. Gentile e onorevole. E’ così che vi descrive sempre madame.”
Philippe rimase stupito dalle sue parole e si sentì lusingato. Giulia parlava ancora di lui e ne parlava con rispetto. Era evidente che lei non provasse alcun tipo di rancore nei suoi confronti.
“Sembra che qui tutti sappiano tutto di me.” le sorrise e sedette sul bordo del letto. “Che fine ha fatto quel ragazzo, Andrè?” chiese, girandosi intorno nella stanza e non vedendo più nessuno.
“E’ andato a riposare un po’. Poverino, sono tre notti che non dorme.”
Philippe le rivolse uno sguardo interrogativo.
“E’ sempre stato qui a vegliare madame. Temeva che lei…potesse andarsene.”
Philippe annuì, comprendendo bene la sua paura. “E le altre donne? Anche loro sono andate a dormire?”
Valerie annuì. “Siamo tutte stremate, monsieur. Madame Lemoine ha persino chiuso la casa. Sono tre giorni che non facciamo altro che piangere, cercare di alleviarle la febbre e vegliarla come se lei potesse volar via da un momento all’altro. Ora che il dottore ha detto che può farcela, finalmente possiamo riposare un po’.”
“E voi perché non siete andata ancora a riposare?”
La donna sorrise dolcemente. “Non riuscirei a dormire sapendo che lei potrebbe svegliarsi e aver bisogno di me…”
“Voi e Monsieur Delacroix sembrate particolarmente legati a Giulia.” Disse, ma vedendo che la ragazza si limitava ad annuire, continuò. “Vi prego, raccontatemi qualcosa. Mi sembra di non sapere più nulla di lei.”
Valerie lo fissò stupita. “La conoscete da una vita…voi sapete già quello che avete bisogno di sapere su di lei.”
“Conoscevo Giulia, è vero. Ma questa Julienne…non so. Mi sembra di non riconoscerla. Il fatto stesso che ci siano tante persone che la amino mi sembra strano.”
Valerie aggrottò le sopracciglia perfettamente depilate. “Perché dite questo?” la sua voce suonò un tantino aggressiva. Philippe sorrise. “A Napoli non c’erano molte persone a cui stesse simpatica. Sicuramente molti uomini la corteggiavano, ma non ricordo che avesse delle amiche o degli amici. Soltanto io e suo fratello la comprendevamo e l’accettavamo per quello che era.”
“E cioè? Cos’era?”
Il sorriso di Philippe divenne quasi luminoso. “Una perfida stronza.”
Valerie scoppiò a ridere, ma si premette le mani sulla bocca per evitare di svegliare la sua signora. “Sapete una cosa, monsieur Philippe?”
Philippe non la corresse. Gli piaceva quella donna. “Cosa?” la incalzò.
“E’ ancora una perfida stronza, ma solo all’apparenza. Ha un cuore d’oro, la signora, ma si sforza di nasconderlo.” Valerie sorrise con tenerezza alla figura raggomitolata tra le lenzuola bianche. “Quando è arrivata qui pensavamo tutte che l’avremmo odiata. Molte minacciarono Madame Lemoine di andarsene. Ci guardava dall’alto in basso! Disse che dovevamo obbedirle e che la prima che non avesse mostrato un adeguato rispetto nei confronti suoi e di Madame Lemoine sarebbe stata buttata fuori a calci. Eravamo terrorizzate e furiose. Non riuscivamo a capire come una donnetta così minuta, una ragazzina che fingeva di essere una gran signora, potesse avere un tale potere su di noi. Poi però lei disse che ci avrebbe raddoppiato il salario e che per ogni cliente che se ne andava soddisfatto avremmo avuto dei soldi in più. Inutile dirvi che a quel punto decidemmo tutte di restare.”
Philippe ridacchiò. “Lo credo bene.”
Valerie gli rivolse un’occhiata eloquente. “Non è finita qui. Ci obbligava ogni giorno a seguire le sue lezioni di portamento e a leggere romanzi. Diceva che ci avrebbe aiutato a imparare a parlare bene, come delle vere signore. Voleva attrarre la migliore clientela di Parigi e per farlo aveva bisogno di prostitute di lusso, mentre noi eravamo solo delle ragazzotte pescate dalla strada. Però imparammo, monsieur, imparammo eccome. Madame mise subito in chiaro che chi non aveva voglia di migliorarsi era meglio che se ne andasse e si mettesse a fare la prostituta per strada. Nessuna di noi però voleva ridursi a quello. La nostra vita era già abbastanza degradante. Se aveste visto questo posto qualche anno fa…era davvero orribile. Pieno di spifferi e tutto malandato. La signora però ha rimodernato tutto ed ha assunto degli uomini che proteggessero lei e noi. Senza contare che è riuscita a incuriosire così tanto gli uomini di Parigi da assicurarsi tutti i migliori clienti. C’è gente importante che viene qui, sapete? Banchieri, avvocati, membri del Parlamento, aristocratici persino…”
Philippe era affascinato dal suo racconto. Giulia era sempre stata una ragazza piena di risorse, furba e intelligente, ma di qui ad immaginarla come una vera e propria donna d’affari…
“Ho sentito che Madame Rouge è famosa per i suoi spettacoli. Cosa fa esattamente?”
Il volto di Valerie sembrò illuminarsi. “Canta, monsieur e balla anche. Ma lo fa in biancheria intima! Qualche volta da sola e qualche volta accompagnata da vere e proprie ballerine. Lei eccita i clienti con i suoi balletti sensuali e poi le ragazze della casa li intrattengono, perché Madame Rouge non si concede a nessuno. Questo tutti gli uomini lo sanno e li fa impazzire. Tutti vogliono conquistare Madame Rouge, ma nessuno di loro ci è mai riuscito. E’ una sfida ormai, capite? Ognuno scommette su chi sarà l’uomo che riuscirà a far capitolare l’inaccessibile Julienne Rouge.”
“Volete davvero dirmi che Giulia non ha nessun amante?” Philippe la fissò con sguardo scettico. Giulia era un’edonista, una creatura troppo sensuale per rimanere sola la notte.
“Nessuno, che io sappia.”
Philippe si strinse nelle spalle, poco convinto. “Tuttavia ancora non ho capito una cosa.” Fissò la ragazza dritto negli occhi. “Perché voi, più delle altre, siete così legata a Giulia?”
Valerie sostenne tranquillamente il suo sguardo. “Perché non potrò mai ripagare madame per quello che ha fatto per me.” La ragazza fece una pausa, attorcigliandosi le mani mentre rifletteva. “Non sono più una prostituta. Ora faccio la cuoca. Ci credete?”
Philippe la fissò sconcertato. “Sul serio?”
“Si. Oh mi tingo ancora i capelli. Che volete farci, mi piacciono troppo i capelli rossi!” Valerie ridacchiò, ma poi tornò seria. “Stavo male quando facevo quel mestiere. Non riuscivo ad abituarmi, mi sentivo sporca…” Deglutì e rivolse una rapida occhiata all’uomo che le sedeva vicino. Lui la fissava con un’espressione imperscrutabile. “Madame se ne accorse. Un giorno mi mandò a chiamare nel suo salottino privato, quello dove accoglie gli uomini che vogliono la massima discrezione e dove discute con altri di affari. Mi fece sedere sul divano e mi diede del cognac. Poi con molto tatto mi disse che aveva notato la mia inquietudine e che…sapeva…sapeva di quando io…io piangevo…” Valerie deglutì con più forza, inghiottendo quel senso di oppressione che la coglieva ognivolta che ripensava a quel periodo della sua vita. “Mi disse che se non volevo non dovevo farlo. Mi diede dei soldi e mi consigliò di iscrivermi ad un corso di cucina.” Sul volto bello e tormentato di Valerie tornò il sorriso. “Un corso di cucina! E chi ci aveva mai pensato? Dopo sei mesi tornai qui e lei mi assunse come cuoca. Ora cucino per le ragazze e anche per i clienti. Gli uomini vengono qui non solo per le donne. Alcuni si limitano ad assistere agli spettacoli, a mangiare e bere e chiacchierare, poi pagano la quota standard e se ne vanno a casa.”
Philippe annuì. Aveva sentito dire che il Rouge Et Noir era ormai un punto di ritrovo per gli uomini della media e alta borghesia, oltre che una casa di piacere.
Valerie sbadigliò con contegno, poi si chinò su Giulia per controllare che la febbre non fosse alta. Dalla sua espressione tranquilla Philippe dedusse che non dovesse essere salita. “Valerie, perché non andate a riposare un po’? Resto io qui con Giulia. Non la lascerò nemmeno un attimo, ve lo giuro.” Le propose con premura.
Valerie gli regalò un bellissimo sorriso. “Vi ringrazio, monsieur. Credo proprio che dovrei dormire qualche ora o domani non mi reggerò in piedi. Controllate però che la febbre non salga e se dovesse succedere venite subito a chiamarmi. Io dormo nella stanza a fianco.”
Philippe annuì e dopo qualche attimo si ritrovò da solo. Solo con la sua Giulia.
C’erano ancora tante cose che avrebbe voluto sapere sulla donna addormentata. Una volta l’aveva conosciuta meglio di quanto conoscesse se stesso, ma adesso gli sembrava un’altra donna. Forse era davvero cambiata. Forse non era più la Giulia che ricordava. Tante domande gli si affollarono nella mente. Che fine aveva fatto l’uomo con cui era scappata da Napoli cinque anni prima? Come aveva conosciuto suo marito, Antoine? Lo aveva amato? Che rapporto avevano avuto? Cosa la legava, invece ad Andrè? E perché la scelta di rilevare un bordello e rimetterlo a nuovo?
Ma soprattutto: perché era scappata da Napoli? Cosa l’aveva spinta a fuggire via, a lasciarsi la sua famiglia, i suoi amici, tutto ciò che conosceva alle spalle, senza mai più voltarsi indietro? Era stato l’odio verso di lui? O l’amore verso di lui? O semplicemente era stato un atto di ribellione contro la sua famiglia così convenzionale? I Rossi erano stati una famiglia completamente entro gli schemi. Erano persone agiate, ma non sfrenatamente ricche e si erano guadagnati tutto ciò che avevano con il lavoro e la forza di volontà. I genitori di Giulia erano persone tranquille, abbastanza severe, discretamente affettuose verso i loro figli. Giorgio, il fratello più grande, era stato un adolescente come tutti gli altri, non particolarmente studioso e non particolarmente combinaguai. Le due sorelle più piccole di Giulia, invece, erano delle bambine tranquille, un po’ viziate, ma ben educate e moderatamente belle. Erano una famiglia senza drammi, che viveva un’esistenza gradevole e rispettava le regole del decoro. Ma Giulia, Giulia era l’eccezione a tutto quello. La Natura l’aveva dotata di una bellezza peccaminosa, che lei aveva saputo sfruttare sin da quando era bambina. Curava il proprio aspetto fino all’estremo, facendo di se stessa un’opera d’arte. I suoi capelli dovevano essere sempre acconciati in maniera perfetta, i suoi occhi risaltati in maniera adeguata dai colori dei vestiti, dei cappelli e del più insignificante accessorio. E i suoi difetti…dovevano essere assolutamente nascosti. Aveva i fianchi larghi, per cui indossava sempre gonne piuttosto morbide, in modo che non mettessero in risalto la loro curva pronunciata e faceva sempre in modo che nessuno riuscisse a scorgere le sue caviglie, non molto esili e delicate. Per il resto, era bellissima. La sua bocca sembrava gridare a gran voce che baciarla sarebbe stato un piacere estatico, i suoi occhi maliziosi, scuri eppure venati di strane sfumature, promettevano sogni erotici e i suoi capelli lunghissimi, folti, simili a onde di cioccolato, rendevano impossibile per un uomo non desiderare di toccarli almeno una volta, per poter verificare se fossero davvero così setosi come apparivano. Lui stesso, più di una volta, era stato tentato da quelle meraviglie, ma non aveva mai ceduto, non aveva mai ammesso ad anima viva che il suo sangue si accendeva quando Giulia lo toccava col suo fare provocante. Era la sorellina di Giorgio, la sua grande amica, la piccola con cui scherzare e assolutamente da proteggere. Ma più di tutto, lui conosceva troppo bene Giulia per peccare di ingenuità e credere di poterla gestire. Era meglio continuare a trattarla semplicemente come un’amica, perché se lei avesse anche solo intuito che lui era debole di fronte alle sue tentazioni come qualsiasi altro uomo, ne avrebbe approfittato alla grande. Lo avrebbe manipolato, come faceva con chiunque, lo avrebbe usato, come faceva con tutti quegli uomini tanto sciocchi da innamorarsi di lei, che prometteva, prometteva, ma non dava mai.
Un rapido sguardo al dipinto alla sua sinistra lo catapultò come d’incanto nella sua Napoli, in una tiepida giornata di Maggio di sei anni prima. Lui e Giulia erano usciti insieme a Giorgio a zonzo per la città, ma poi avevano incontrato Nadia Della Valle, di cui il ragazzo era follemente innamorato, che passeggiava per Via Toledo insieme alla cugina. Giulia, che non sopportava che altre ragazze le rubassero la scena, si era indispettita e aveva iniziato a protestare.
“Vorrei continuare la mia passeggiata, se non vi spiace.” Aveva detto col suo solito tono perentorio che faceva sembrare ogni sua parola un ordine. L’ombrellino che aveva in mano aveva cominciato a roteare, segno che lei si stava innervosendo.
“Allora avviati da sola..!” aveva sbottato Giorgio, tornando poi a rivolgersi a Nadia, mostrando il suo sorriso più affascinante alla ragazza, i cui boccoli biondi incorniciavano un viso d’angelo. Non era difficile immaginare perché Giorgio fosse innamorato di lei. Era dolce, era bella e i suoi occhioni azzurri comunicavano una sensibilità e un’innocenza che avrebbe spinto qualsiasi uomo a dare la vita pur di proteggerla. Tuttavia, all’epoca non avrebbe mai immaginato che quella ragazza sarebbe diventata poi sua moglie. La sua amata Nadia. La sua compagna di vita.
Giulia, intanto, era diventata fuoriosa e i suoi occhi avevano cominciato a scintillare pericolosamente. “Penso che tu possa meglio impiegare il tuo tempo, piuttosto che sprecarlo a corteggiare una sciocca che nemmeno ti vuole.” Il suo tono era stato tranquillo, falsamente tranquillo e il sorriso che aveva rivolto a Nadia ancora più falso. Giulia sapeva come provocare e spesse volte anche una persona mite poteva essere spinta a istinti violenti di fronte alla sua indifferente sfacciataggine.
“Co-come?” aveva balbettato la ragazza dai biondi capelli. “Vostra sorella mi ha appena dato della sciocca, Giorgio?”
Giorgio si era voltato verso la sorella e Philippe aveva letto nei suoi occhi la voglia matta di picchiarla, lì di fronte a tutti. Per evitare che succedesse, era intervenuto tempestivamente. “Giulia, perché io e voi non continuiamo la passeggiata, mentre vostro fratello si intrattiene ancora un po’?” aveva proposto e senza aspettare una risposta l’aveva praticamente tirata fino alla carrozza e l’aveva obbligata a salire, sedendole poi di fronte.
Lei lo aveva fulminato con lo sguardo. “Perché lo hai fatto?” aveva sbottato.
“Perché, altrimenti, tuo fratello ti avrebbe mollato un ceffone, chéri.” Le aveva spiegato con tranquillità. La carrozza avava cominciato a camminare sobbalzando e il cappello azzurro di Giulia le era scivolato dalla testa. Lei lo aveva ripreso con stizza e se l’era infilato di nuovo sul capo. “Odio quella scemetta.” Aveva sibilato.
Philippe si era messo a ridere, ignorando i suoi occhi pieni di ira che lo guardavano minacciosi. Aveva allungato le mani verso il suo cappello e glielo aveva aggiustato sulla testa. Poi le aveva preso il mento fra le dita e le aveva sorriso con dolcezza. “Mon petit, non devi essere gelosa.” L’aveva rimproverata. “Tuo fratello amerà sempre più te, è ovvio. Sei sua sorella.”
Giulia gli aveva sorriso con malizia. “Non sono gelosa di Giorgio. Quel caprone di mio fratello può fare ciò che vuole. E’ di te che sono gelosa.”
Philippe si era ritirato sul suo sedile e si era appoggiato allo schienale. L’aveva guardata con il suo solito modo di fare, tra la condiscendenza e il divertimento. “E perché mai saresti gelosa?”
“Perché quell’oca bionda ti fa sempre gli occhi dolci. E io non lo sopporto.” Gli aveva detto col suo miglior tono petulante. Philippe aveva riso guardandola atteggiare le labbra in un delizioso broncio da dama offesa.
“La signorina Nadia è molto graziosa, ma non la sottrarrei mai a tuo fratello. Non temere, chéri, per il momento sono ancora tutto tuo.”
“Per il momento.” Aveva ripetuto lei, accigliandosi.
“Vorresti che fosse per sempre?” le aveva chiesto con dolce ironia.
“Certo che si. Tu sei mio. Non voglio condividerti con nessuna stupida.” Era stata la sua risposta arrogante.
Philippe, ancora una volta, non aveva potuto evitare di ridere della sua sfacciataggine. “Io non ti appartengo, Giulia. Siamo amici, gli amici non si appartengono.”
Lei aveva sbuffato e si era tolta il capello di testa con uno scatto nervoso. Si era aggiustata i riccioli in quella maniera così femminile che faceva impazzire i giovanotti che le ronzavano sempre intorno. “Non sono d’accordo.” Aveva protestato con indifferenza. “Sai che io sono solo tua.” Aveva poi aggiunto con una nota sensuale nella voce degna di un’amante molto più matura dei suoi diciannove anni.
“Ah si?” aveva replicato Philippe con ironia. All’epoca già non si stupiva più del sottile erotismo che aleggiava fra loro quando erano soli. La loro amicizia, in qualche punto fra l’adolescenza e l’età adulta, aveva smesso di essere fraterna ed aveva assunto sfumature strane e inaspettate. Philippe aveva volutamente continuato ad ignorare che Giulia fosse cresciuta, che fosse tanto bella e sensuale e che ormai fosse impossibile trattarla come una sorella.
“Dove siamo diretti?” gli aveva chiesto con indifferenza, come se non avesse appena dichiarato di appartenergli.
“A Mergellina. Ho voglia di vedere il mare.” Aveva risposto Philippe, guardando oltre il finestrino la strada che scivolava via veloce.
“Ma se qualcuno ci vede senza Giorgio penserà che sono una svergognata.” Protestò senza nessun ansia, ma con una sottile vena scherzosa e maliziosa nella voce.
“Tutti sanno già che lo sei, mia cara.” Aveva ribadito lui.
A Mergellina il vento proveniente dal mare soffiava leggero sui loro volti e il sole quella giornata splendeva alto nel cielo. Centinaia di piccole imbarcazioni popolavano il Golfo, esattamente come nel dipinto di Andrè, mentre Castel dell’Ovo vegliava la baia come un gigante buono, addormentato alle pendici del Vesuvio sullo sfondo.
Il cappellino di Giulia era volato via, spinto dal vento, e Philippe lo aveva recuperato con un balzo. Giulia aveva riso e gli si era piazzata davanti con una mano sul fianco e la testa inclinata di lato. “Che uomo che sei, Philippe!” Gli si era avvicinata di più, finchè le sue gonne fruscianti avevano sfiorato i suoi pantaloni. “Così agile e…prestante…” Giulia aveva fatto scorrere un dito sul suo petto e Philippe le aveva afferrato il polso per farla smettere. Lei aveva riso, inclinando la testa all’indietro, deridendolo per le sue bigotte resistenze.
Philippe, esasperato, aveva tirato un sospiro e le aveva rimesso il capello in testa. Lei aveva ripreso a camminare e lui l’aveva seguita, da bravo gentiluomo, lottando contro se stesso per evitare di fissare senza ritegno i suoi fianchi dondolanti.
Giulia si era fermata pochi passi più avanti. Si era voltata verso il mare, si era tolta il cappello e aveva aspirato il profumo che proveniva dall’immensa distesa d’acqua. I suoi riccioli scuri, lasciati cadere in gran parte sulle spalle, si agitavano intorno al suo viso, mossi dal vento. Era una delizia per gli occhi poterla guardare.
“Mi mancherà tutto questo, quando andrò via.” Aveva mormorato.
“Quando andrai dove?” le aveva chiesto Philippe, avvicinandosi a lei, mentre si appoggiava con un fianco contro il muretto basso di pietra che costeggiava il lungomare.
“Non lo so. Lontano…” Lo aveva guardato con i suoi occhi scuri accesi di sfumature che apparivano quasi viola e gli aveva rivolto un sorriso tenue. “Voglio vedere il mondo, Philippe.” Gli aveva confessato, poi si era voltata di nuovo verso il sole e il mare e aveva allargato le braccia in un gesto plateale. “Voglio essere libera!” aveva gridato. Philippe era scoppiato a ridere e l’aveva attirata fra le sue braccia.
“Dimmi dove vuoi andare e ti ci porto io…” le aveva sussurrato, cedendo al pericoloso impulso di assecondare, per una volta, i suoi giochi.
“Londra, Parigi, Lisbona…New York!” aveva esclamato lei, poi entrambi avevano riso ed erano rimasti per un lungo istante abbracciati, accarezzati dalla brezza marina, dal sole brillante di Maggio, in una dolce primavera della loro giovane vita.
Parigi, Novembre 1889
Il fuoco scoppiettava quieto nel camino. Il silenzio era rotto solo dal crepitare delle fiamme, dall’eco della pioggia che cadeva ininterrottamente battendo contro le finestre e dal suono maledettamente piacevole del liquido che scorreva dalla bottiglia al bicchiere mezzovuoto.
Philippe osservò il liquido rosso scuro e pensò che somigliasse a sangue. Si rigirò il bicchiere fra le mani e se lo portò alla bocca. Ne bevve due sorsi, lentamente, assaporando, gustando il sapore vellutato del pregiato vino francese. Poi, chissà come, si ritrovò a vuotarlo tutto d’un fiato.
Quando ebbe ingoiato anche l’ultima goccia rimasta, restò a fissare la mano tremante che teneva il bicchiere. Con un sospiro lo poggiò sul tavolino di fianco alla sua poltrona e si lasciò cadere contro lo schienale. Chiuse gli occhi per un minuto e quando li riaprì qualcuno stava bussando discretamente alla porta del suo salotto. La porta si aprì e la testa grigia di Charles, il maggiordomo, fece capolinea nella stanza.
“Monsieur, c’è una donna di sotto che chiede di vedervi.”
Philippe alzò un aristocratico sopracciglio in segno di disappunto. “A quest’ora?”
Le lancette dell’orologio segnavano quasi mezzanotte. Il maggiordomo parve imbarazzato, ma tenne lo sguardo fisso sul volto di Philippe. “La…signora…è piuttosto insistente. L’ho mandata via già tre volte e tutte e tre le volte è tornata a battere alla porta come una…una…forsennata, monsieur.”
Philippe avrebbe riso, se si fosse ricordato come si faceva. “Vabene, Charles, falla salire. Con questa pioggia probabilmente sarà inzuppata come un pulcino. Ha detto almeno come si chiama?”
“Madame Laurent. Valerie Laurent.”
Philippe si strinse nelle spalle. Quel nome non gli diceva niente.
Vedendo che il suo signore non accennava ad altro, il maggiordomo si diresse con dignità ad accogliere quella inattesa sconosciuta.
Valerie era ormai zuppa fino al midollo, quando quel vecchio senza cuore era finalmente venuto ad aprirle per farla entrare. Aveva persino indossato uno dei vestiti della signora per potersi presentare con abbastanza dignità alla porta di un uomo come Monsier Dubois, ma era stata trattata ugualmente con sgarbato disprezzo e crudele indifferenza.
“Monsieur Dubois ha deciso di ricevervi.” Le comunicò il maggiordomo accennando ad una smorfia di disgusto.
Maledetto vecchio! Avrebbe voluto gridare Valerie e invece si stampò un bel sorriso irriverente sulla faccia e si accinse a seguirlo attraverso i corridoi semibui della casa, sgocciolando con muto piacere sui bei tappeti Aubusson.
Philippe non sapeva bene cosa si era aspettato di vedere, ma non era certamente quello. Una donna completamente bagnata dalla testa ai piedi lo fissava con aria sprezzante, in piedi sull’uscio della porta del salotto. Sarebbe potuta apparire persino rispettabile con indosso quel semplice vestito grigio di velluto, anche se intriso d’acqua, se esso non fosse stato troppo piccolo per le forme procaci, se il paletot non fosse stato troppo corto, se i suoi capelli sobriamente raccolti non fossero stati di un rosso acceso e palesemente tinti.
Era una prostituta. Era indubbiamente una prostituta. Il punto era: cosa ci faceva una prostituta vestita da signora in casa di un uomo rispettabile come lui che non si era mai nemmeno avvicinato ad un bordello, per di più ad un orario del tutto sconveniente?
La ragazza notò il cipiglio perplesso di Monsieur Dubois e accennò ad un sorriso. “Intendete invitarmi a sedere o devo restare per tutto il tempo in piedi mentre voi mi fissate con la bocca aperta?”
Philippe si irrigidì ancora di più. Con sguardo duro fissò la donna e le indicò la poltrona di fronte alla sua, quella più vicino al fuoco. “Sedete pure, madame.” L’ultima parola fu pronunciata con evidente sarcasmo, ma lei sembrò non farci caso. Si lasciò cadere sulla poltrona come se fosse esausta e si liberò senza nessuna grazia del cappotto fradicio di pioggia. “Non ho molto tempo.” Esordì, guardandolo dritto negli occhi. Tremava, ma nei suoi occhi scuri brillava una fervida determinazione. Philippe si ritrovò così a provare una sottile ammirazione verso quella donnetta tutta curve, evidentemente decisa a portare a termine chissà quale missione. Una missione che lo riguardava.
“Allora parlate.” La esortò.
Lei annuì. “Sono Valerie Laurent. So che il mio nome non vi dice niente, ma sono sicura che il nome della mia signora vi dirà molto di più.”
Dunque era venuta per conto di qualcun altro. Philippe la fissò con curiosità. “E chi sarebbe la vostra signora?”
“Julienne Rouge.” Lo disse come se fosse stata la più grande rivelazione della storia, ma quel nome Philippe non l’aveva mai udito.
“Non so chi sia questa donna.” le disse.
Lei lo fissò stupefatta, poi ridacchiò. “Certo, voi la conoscete forse come Madame Rouge o…Giulia Rossi.”
Valerie sorrise trionfante nel vedere gli occhi dell’uomo farsi vitrei. Le sue palpebre dalle lunghe ciglia, maledettamente lunghe per un uomo, sbattevano freneticamente e la mano che teneva il calice di vino tremò fino a che il bicchiere cadde sul pavimento, riversando un fiumiciattolo di liquido rosso che imbrattò irrimediabilmente il tappeto.
“Madame Rouge? Mi state dicendo forse che Giulia…Giulia e Madame Rouge sono la stessa persona?” la voce di Philippe aveva perso ogni nota ironica. Deglutiva a vuoto e le sue dita si stringevano sui braccioli della poltrona, affondando nel soffice tessuto porpora.
“Si, monsieur.” Rispose tranquillamente Valerie. Avrebbe voluto continuare subito con ciò che aveva da dirgli, ma si rendeva conto che l’uomo aveva bisogno di un po’ di tempo per digerire la notizia.
“Ho…ho sentito…” Philippe si schiarì la voce, ma sentiva come se gli si fosse formato un groppo in gola. “Ho sentito…” ripetè. Tirò un sospiro e tentò di rilassarsi. Le sue dita si distesero e riuscì a portarsi una mano alla testa. Una vena sulla tempia gli pulsava dolorosamente. “Sta male vero?” chiese ad occhi chiusi. “Giulia sta male. Ho sentito che è stata aggredita…”
Valerie annuì. “Si, è così. Un uomo l’ha aggredita tre notti fa nella sua stessa stanza. Uno delle guardie del corpo di Madame è intervenuto prima che quel bruto la uccidesse, ma l’aveva ferita ad un fianco con il coltello e...” Dovette fermarsi. Le bruciavano pericolosamente gli occhi. Ingoiò le lacrime e continuò. “Ha perso molto sangue e la ferita si è infettata. I medico sta cercando di abbassarle la febbre, di…di…monsieur non sappiamo quanto ancora durerà. Delira e…chiede di voi.”
Philippe aprì gli occhi di scatto. I suoi occhi velati del colore del brandy fissarono scioccati la sconosciuta prostituta come se fosse in trance.
“Chiede di me?”
Lei annuì. “Continuamente.”
“Ma come…come fa a sapere? E voi come facevate a sapere che ero qui a Parigi?”
Valerie gli sorrise dolcemente. “Lei sapeva sempre tutto di vo. E anche noi ragazze, perché lei ci raccontava continuamente del suo Philippe.”
Philippe chiuse gli occhi. Giulia…la sua Giulia. Si era chiesto per anni dove fosse, con chi fosse, se stesse bene. Ritrovarla ora, quando si era recato a Parigi per cercare un’altra donna, la sua amata moglie, era un tragico scherzo del destino. Se solo lei lo avesse cercato prima, se solo fosse venuta da lui…
Che senso aveva ora? Se Giulia fosse morta cosa avrebbe avuto lui se non pochi attimi di gioia nel rivederla e poi soltanto il cupo dolore di una perdita che si ripeteva per la seconda volta?
La rivide come l’aveva vista l’ultima volta, cinque anni prima. L’immagine di una giovane donna, avvolta in un vestito azzurro e nero, cominciò ad apparire davanti ai suoi occhi. Erano ad una festa, la sua festa. Si era da poco fidanzato con la sua amata Nadia e i loro genitori avevano organizzato un ballo in loro onore, nella loro villa di Via Chiaia, uno dei nuovi quartieri di Napoli. All’epoca vivevano ancora tutti lì, nella colorata e calda città partenopea. Erano felici o almeno così aveva pensato Philippe. Aveva attraversato il salone con al braccio la sua fidanzata, entrambi radiosi, pieni di gioia e spensierati. Nadia gli aveva sussurrato qualcosa all’orecchio e lui aveva riso, poi aveva alzato il capo e aveva incontrato lo sguardo di Giulia. I suoi occhi scuri, che da lontano sembravano intrisi di sfumature viola, si erano fissati per un lungo istante sulla giovane coppia. Aveva guardato lei con aria sprezzante, poi aveva guardato lui e il suo sguardo si era colmato di rabbia. Era stato un attimo, poi lei si era voltata e lui era rimasto a fissare la sua nuca ricoperta di riccioli color cioccolato, abilmente raccolti in una tortuosa acconciatura.
“Monsieur? State bene?” la voce di quella donna lo riportò al presente. I suoi occhi si aprirono, fissandola come se non la riconoscesse. “Si.” Mormorò. “Portatemi da lei.”
Philippe non era mai stato in un bordello. L’idea di pagare una donna per avere dei favori sessuali lo disgustava. Aveva avuto poche donne nella sua vita, in realtà. Tutte prima del suo matrimonio. Da quando aveva conosciuto e si era innamorato di Nadia, le era stato scrupolosamente fedele.
Tutto sommato il Rouge Et Noir era un locale piuttosto sobrio, arredato con buongusto, ma senza rinunciare ad essere lussuoso. Era un bordello di prima qualità, non c’era che dire. Valerie lo guidava con passo sicuro attraverso i corridoi ben illuminati ma tristemente silenziosi. Nessuno dei due aveva parlato durante tutto il tragitto in carrozza, né si arrischiavano a farlo adesso.
Salirono all’ultimo piano, da cui provenivano voci ovattate e mormorii indistinti. Philippe cominciò a chiedersi che cosa aspettarsi. Giulia era cambiata? Era la stessa donna bellissima di sempre o i peccati e quell’aggressione brutale l’avevano ridotta a qualcosa che lui non avrebbe sopportato?
Quando mise piede nella stanza dove Giulia riposava, le gambe gli si erano fatte di marmo. Si costrinse ad attraversare l’uscio e ad affrontare quel che c’era all’interno.
Dieci donne si voltarono contemporaneamente verso di lui. Sembravano tutte tese e preoccupate, qualcuna aveva le guance rigate di lacrime, ma quando i loro occhi si posarono su di lui i loro volti si fecero curiosi.
“E’ proprio lui…” mormorò qualcuna. Gli sguardi di quelle donne così colorate, palesemente in contrasto con l’atmosfera cupa che aleggiava in quella stanza, si spostarono dal suo viso alla parete alla loro sinistra. Philippe seguì i loro sguardi e rimase senza fiato. Tutta la parete era dipinta, sicuramente il lavoro di un artista, un artista molto bravo per di più. L’affresco mostrava sullo sfondo il panorama del Golfo di Napoli, con il mare popolato di piccole imbarcazioni e più lontano le onde che si infrangevano contro le mura forti e antichissime di Castel dell’Ovo. In primo piano un uomo e una donna, ritratti ad altezza naturale, si stringevano le mani e si guardavano adoranti. L’uomo fissava la donna con dolce condiscendenza, mentre lei sembrava rapita dagli occhi di lui.
Philippe si avvicinò alla parete e fissò con sgomento il proprio volto e poi quello di Giulia, ritratta di profilo. Un lieve sorriso gli salì alle labbra mentre seguiva con gli occhi la linea del nasino all’insu, della bocca morbida, delle ciglia scure che ombreggiavano i suoi occhi violetti. Tirò un sospiro e si voltò verso le donne che attendevano in rispettoso silenzio. Ora era pronto a posare i suoi occhi sulla piccola figura avviluppata nelle coltri scure dell’enorme letto a baldacchino.
Cercò lo sguardo di Valerie e le fece un lieve cenno del capo. Lei avanzò e senza altre parole tirò un velo e finalmente il volto di Giulia fu visibile ai suoi occhi.
Philippe si avvicinò al letto e scrutò con ossessiva attenzione quei tratti delicati. Aveva un livido scuro sul mento e un sopracciglio spaccato, il suo volto dalla pelle olivastra era pallido, ma per il resto era ancora la stessa ragazza che ricordava.
Gli si stringeva il cuore nel vederla così vulnerabile, lei che era sempre stata tanto forte. Si vantava di essere capricciosa e fin troppo viziata, e ciò corrispondeva a verità, ma Philippe non ricordava che Giulia avesse mai avuto davvero bisogno di qualcuno. Ora però il suo fragile corpo era nelle mani di quelle donne di malaffare e di qualche medico incapace. Philippe non poteva sopportarlo. Si voltò di scatto verso Valerie. “Chi l’ha visitata?” sbottò.
“Il Dottor Martin. Lui dice che non può fare nulla, che…dobbiamo solo aspettare.”
Philippe scosse la testa. “Farò venire il Dottor Bernard, è un mio amico.”
Valerie annuì. Era contenta che adesso ci fosse qualcuno che prendesse in mano la situazione. Loro avevano fatto del loro meglio ma…non era abbastanza.
“Monsieur…” lo chiamò piano. “Perché non mi date questo cappotto bagnato e vi sedete un po’ vicino a lei? Intanto vi prendo qualcosa di caldo da bere e vi porto un asciugamano per i vostri capelli, che ne dite?”
Philippe le rivolse un sorriso tirato. “Grazie.” Mormorò, cominciando a levarsi il cappotto. Non fece neppure caso alle donne che pian piano uscivano dalla stanza, né a null’altro che non fosse il bisogno impellente di guardare Giulia, il suo volto e nulla più.
Valerie tornò con un asciugamano e una tazza piena di thè fumante. “Ecco a voi…” gli disse, mentre gli porgeva l’asciugamano. Philippe se lo passò distrattamente fra i capelli. “Avete qualcuno che possa recapitare un messaggio al Dottor Bernard da parte mia?”
Valerie annuì. “A costo di andarci io stessa.”
Philippe la fissò intensamente. “Dovreste cambiarvi gli abiti.”
Valerì sorrise maliziosa. “Vi preoccupate per una volgare prostituta, monsieur?”
“Mi preoccupo per una persona che ama Giulia quanto l’ho amata io.” Philippe non aveva avuto intenzione di dire qualcosa del genere, eppure quella notte tutto era così irreale da sembrargli di poter dire o fare qualsiasi cosa. Tutte le sue convinzioni, i buoni principi, le regole sociali e gli stupidi pregiudizi quella notte non valevano.
Valerie non sembrò stupita dalle sue parole. Si limitò ad annuire in quel modo pratico che gli stava diventando familiare. “Voglio molto bene alla signora. Tutte noi gliene vogliamo.”
Philippe accennò ad un impercettibile sorriso. “Devo credere allora che sia migliorata con gli anni.” Si interruppe e il suo sorriso si accentuò. “Era odiosa. Ma era la mia migliore amica…”
Bevve un sorso di thè e posò di nuovo lo sguardo su Giulia. Sembrava così quieta nel sonno, così innocente…ma lei innocente non lo era stata mai.
Madame Rouge. Adesso che lo shock iniziale era passato, non gli sembrava così strano associare la ragazza di buona famiglia che era stata la sua più grande amica e la donna più chiacchierata di Parigi che era diventata. Non ricordava neppure un momento in cui lei avesse mostrato una qualche forma di ingenuità o di candore infantile. Neppure da bambina.
La ricordò com’era a dodici anni, la prima volta che si erano incontrati. Era seduto in camera di Giorgio, il primo amico che si era fatto a Napoli, che tra l’altro era il figlio più grande del socio di suo padre, Giovanni Rossi. Giorgio era uscito un attimo per prendere un libro da prestargli per la scuola, quando una figuretta ammantata di merletti e fiocchetti bianchi aveva fatto il suo ingresso. Aveva dei lunghissimi capelli bruni, finemente acconciati in boccoli che le scendevano sulle spalle minute e un sorriso birichino che le provocava due graziose fossette ai lati della bocca. “Buongiorno, signore.” Lo aveva salutato, senza nessun tipo di timore o vergogna. “Buongiorno, mademoiselle.” Aveva risposto lui, sorridendole con condiscendenza.
“Siete francese?” gli aveva chiesto ancora lei.
“Si, mademoiselle.” Aveva risposto educatamente lui.
“Oh, lasciala perdere Philippe! E’ solo la mia sciocca sorellina…” Giorgio le aveva scompigliato i capelli e lei gli aveva subito rivolto uno sguardo assassino. Si era acconciata i boccoli con una dignità propria solo delle donne adulte e aveva deliberatamente ignorato il fratello più grande.
“Un signore distinto come voi non dovrebbe essere amico di mio fratello. E’ un barbaro.” Aveva decretato.
Philippe era scoppiato a ridere. “Davvero? Non mi sembrava, ma grazie dell’avvertimento.”
“Giulia smettila di dire sciocchezze e vattene a giocare con le bambole. Qui abbiamo cose serie da fare.” Aveva sbottato Giorgio.
“Ovvero? Far finta di studiare mentre in realtà riempi la testa al nostro povero ospite riguardo la tua sciocca infatuazione per la signorina Della Valle?”
Giorgio era diventato paonazzo per la vergogna e l’aveva cacciata via senza riguardo, mentre lei rideva e continuava a prenderlo in giro senza pietà.
La sua risata giocosa e irriverente gli risuonava ancora nelle orecchie. All’epoca lui e Giorgio erano ancora due quindicenni nel pieno dell’adolescenza che credevano di essere già uomini. Cosa avrebbe dato per poter ritornare a quei giorni spensierati!
Loro tre insieme, i giochi, le risate, i battibecchi continui dei due fratelli…com’era facile la vita allora! Poi però Giulia era cresciuta, loro due erano cresciuti, e tutto era cambiato.
“Monsieur Dubois…” lo chiamò una voce alle sue spalle. Si voltò e vide che era una delle donne che abitavano quel bordello, ma non era Valerie. Lei se n’era già andata e lui non se ne era neppure accorto.
La donna che aveva interrotto i suoi pensieri era stata di certo una prostituta come tutte le altre, ma sembrava ormai troppo in avanti con gli anni per essere ancora attiva nel suo lavoro. Dunque doveva essere la socia di Giulia, Madame…il nome gli sfuggiva, ma era certo che fosse lei.
“Si?”
“C’è qui un amico di Julienne che vorrebbe vederla. Voi permettete?”
Philippe si irrigidì. Non aveva voglia di incontrare uno degli “amici intimi” di Giulia e odiava che la chiamassero Julienne. Tuttavia annuì, non aveva alcun diritto di vietare a qualcuno di vederla. Non era suo fratello, non era suo marito. Era solo un vecchio amico che lei si era lasciata alle spalle.
Lo sconosciuto entrò cautamente e restò per un bel po’ a fissarlo imbambolato, prima di decidersi a venire avanti. Era un uomo bassino, dall’aspetto gradevole e di sicuro doveva essere molto giovane. Forse più giovane di lui.
“Voi…voi siete Philippe?” gli chiese timidamente.
“Monsieur Dubois.” Philippe lo fulminò con lo sguardo. A quanto pareva tutti sapevano lui chi fosse, mentre lui non conosceva nessuno. Non sapeva più nulla della vita di Giulia, mentre tutti quegli sconosciuti sembravano conoscere fin troppo.
L’uomo annuì. “Certo. Io sono Andrè, Andrè Delacroix.” Lo raggiunse e lanciò uno sguardo penoso alla donna addormentata nel letto. “Come sta?” chiese.
“A quanto pare non bene.”
“Sono stato con lei tutta la giornata, oggi la febbre era alta e delirava. Mi sembra che adesso sia tranquilla. Forse sta meglio.” Azzardò l’uomo.
“Ho fatto chiamare un altro dottore. A breve sarà qui. Deciderà lui se sta meglio oppure no.” ribattè Philippe.
Andrè non rispose. Sedette sulla sponda del letto e restò a fissare Giulia, accarezzandole una mano con una familiarità che ormai a Philippe mancava.
“Non pensavo sareste venuto.” Sussurrò ad un certo punto Andrè.
“Pensavate che avrei rifiutato di vedere una vecchia amica?” Philippe sembrava offeso. Andrè alzò gli occhi blu verso quelli ambrati dell’altro uomo per studiarne la reazione. “Julienne mi ha raccontato che non si è comportata molto bene con voi.”
Philippe rimase impassibile. “Giulia…” disse, rimarcando il suo vero nome. “Non si comportava bene con nessuno, ma le volevamo bene lo stesso.”
“Dunque non provate rancore verso di lei?”
Philippe non rispose subito. “E’ passato molto tempo.” Si limitò poi a dire.
Andrè si voltò di nuovo verso la donna distesa nel grande letto. Si stava agitando piano, forse svegliata dai loro mormorii. I suoi occhi violetti si schiusero e si fissarono su Andrè. “Mon ami…” mormorò.
“Sono qui, Julienne. C’è anche Philippe.” Le mormorò Andrè, scostandole una ciocca di capelli dal viso. Philippe si avvicinò di più al letto e la chiamò piano. “Giulia, sono io, Philippe. Sono venuto, hai visto?” le disse in Italiano.
“Philippe…” mormorò piano lei. I suoi occhi si posarono su di lui. Erano vitrei, lievemente arrossati e lo fissavano assenti. “Sei quello vero? Non sei un dipinto?”
“No, chéri, sono vero. Sono venuto qui per te.” mormorò dolcemente. Lei sembrò sorridere. Chiuse piano gli occhi e allungò una mano verso di lui. Philippe la prese fra le sue e la strinse lievemente. “Sei venuto per dirmi addio?” bisbigliò lei, con voce flebile, mentre i suoi occhi restavano chiusi. “No, per aiutarti a guarire.”
“Non andrai da nessuna parte!” intervenne Andrè, con forza. Non avrebbe sopportato di perdere anche lei. Gli occhi del ragazzo si riempirono di lacrime.
Mon ami…non essere triste. C’è Antoine che mi aspetta…”
“Antoine dovrà aspettare ancora un bel po’! Tu resterai qui, perché io ho bisogno di te più di quanto ne abbia lui, hai capito?” sbottò Andrè, le lacrime che ormai scendevano lungo le sue guance senza remore.
Giulia non rispose più e sembrò essersi addormentata di nuovo. Philippe non lasciò la sua mano. Era così piccola e delicata come la ricordava…
“Chi è Antoine?” si azzardò a chiedere, quando Andrè riuscì a ricomporsi.
“Il marito di Julienne.”
“Giulia…si è sposata?” Philippe faceva fatica a crederci. Giulia che apparteneva a qualcuno, Giulia che si sottometteva all’autorità di un marito…gli sembrava impossibile. A meno che…Giulia non avesse manipolato il pover’uomo, facendolo innamorare di sé per sottrargli ingenti quantità di denaro. Quello si, che gli sembrava un atteggiamento congruo alla Giulia che conosceva.
Andrè sorrise. “Era un matrimonio bizzarro. Antoine non era…” si fermò e gli sorrise. “Non era un uomo comune.”
Philippe si accigliò. “Cioè?”
Andrè tornò a guardare Giulia. “Erano molto amici, ma il grande amore di Antoine era un altro. Come d’altronde anche Julienne amava un altro uomo. E noi sappiamo bene chi è.” Il ragazzo rivolse un’occhiata intensa a Philippe che rimase un po’ sconcertato. “State parlando di me?”
“E di chi altro? Non mi sembra che ci sia qualcun altro dipinto a grandezza naturale in questa stanza.”
Philippe sorrise. “Giulia non era innamorata di me. Giulia era solo ossessivamente gelosa di ciò che pensava le appartenesse.”
Andrè si strinse nelle spalle. “Forse non la conoscete poi così bene.”
Philippe non battè ciglio. “Conoscevo bene Giulia, ma non so nulla di Julienne. Posso solo dirvi, dunque, che quello che provava per me la ragazza che è stata non era amore.”
Andrè si volse a guardare il dipinto alle loro spalle. “L’ho fatto io, sapete? Mi ci sono voluti tre mesi per finirlo. Julienne non era mai contenta. Voleva che fosse perfetto. Però quanto abbiamo riso mentre lo realizzavamo.”
“Siete un pittore?”
“Si.”
“Come avete fatto a ritrarmi…?”
“Julienne aveva una vostra foto. Per i colori è stata un’impresa. In effetti credo di avervi dipinto i capelli troppo biondi.” Andrè assunse un’aria meditabonda, come se stesse pensando a correggere quell’errore.
Philippe sorrise. Si ritrovò a pensare che in fondo Andrè era un bravo ragazzo. Gli era simpatico. Evidentemente non era l’amante di Giulia, altrimenti non avrebbe mai accettato di dipingere un altro uomo su quella parete.
Mentre entrambi erano persi nelle loro riflessioni, giunse Valerie insieme al Dottor Bernard, che aveva l’aspetto di qualcuno che è appena uscito dal letto. Aveva i capelli arruffati e i vestiti un po’ scomposti, ma sorrise ugualmente a Philippe.
“Philippe, sono venuto il più in fretta possibile.” Esordì. I due si strinsero la mano, poi Philippe gli presentò Andrè ed infine gli mostrò Giulia.
“Bene.” Disse il dottore, poggiando su una sedia la propria borsa. “Adesso gradirei che usciste tutti, in modo che io possa visitarla. Ah…e per l’amor di Dio…portatemi un caffè!”
Philippe si ritrovò fuori dalla stanza, insieme a una decina di donne che lo fissavano con curiosità morbosa e ad Andrè che parlottava in disparte con la prostituta chiamata Valerie.
Gli sembrò che fosse passata un’eternità quando finalmente Lucas Bernard uscì dalla stanza. Tutti i presenti si affollarono intorno a lui, assillandolo con pressanti domande sulla salute della loro amica, ma fu a Philippe che il dottore si rivolse.
“La ferita è stata ricucita bene e nonostante sia ovvio che sia in atto un’infezione, ha buone possibilità di farcela con qualche aiuto. E’ una donna giovane, in salute, può combattere la febbre, ma avrà bisogno che facciate tutto ciò che vi dirò.”
Le donne sembrarono impazzite a quelle parole. Si profusero in promesse ed esclamazioni di sollievo, speranza e timore. “Calma, signore.” Le ammonì Philippe. “Bernard, per l’amor di Dio, diteci cosa dobbiamo fare perché lei stia meglio.”
L’uomo sorrise. “Le ho applicato dell’olio di iperico sulla ferita e le ho fatto bere un infuso di varie erbe che vi ho lasciato sul comodino. Voglio che le facciate bere un cucchiaio tre volte al giorno e le facciate assolutamente ingerire qualcosa da mangiare, anche se liquido. Cambiate la fasciatura due volte al giorno: la mattina e la sera e ogni volta applicatele l’olio di iperico sulla ferita. Anche quello è sul comodino. La febbre al momento non è molto alta, ma potrebbe di nuovo salire. In tal caso fatele degli impacchi con pezzuole fredde sulla fronte e sul corpo. Più di questo, non possiamo fare. Per ogni evenienza, comunque, io sono a disposizione.”
Philippe lo ringraziò e si offrì di pagargli l’onorario, ma il dottore si rifiutò, spiegando che era stato già enormemente ripagato. Philippe non capì quell’affermazione ma non ci pensò su più di tanto.
Tornò in fretta nella stanza per potersi tornare a sedere al fianco di Giulia, ma scoprì che il suo posto era stato occupato da Valerie. Lei gli rivolse un sorriso teso e fece per alzarsi ma lui scosse la testa. “State pure seduta. Questa sera vi siete già strapazzata abbastanza.” Trovò persino la forza di sorriderle. Ora che la speranza che Giulia si salvasse era stata rafforzata dalle parole del dottore, sembrava che l’aria nella stanza fosse molto meno tesa e tetra.
“Siete un uomo molto gentile, monsieur. Gentile e onorevole. E’ così che vi descrive sempre madame.”
Philippe rimase stupito dalle sue parole e si sentì lusingato. Giulia parlava ancora di lui e ne parlava con rispetto. Era evidente che lei non provasse alcun tipo di rancore nei suoi confronti.
“Sembra che qui tutti sappiano tutto di me.” le sorrise e sedette sul bordo del letto. “Che fine ha fatto quel ragazzo, Andrè?” chiese, girandosi intorno nella stanza e non vedendo più nessuno.
“E’ andato a riposare un po’. Poverino, sono tre notti che non dorme.”
Philippe le rivolse uno sguardo interrogativo.
“E’ sempre stato qui a vegliare madame. Temeva che lei…potesse andarsene.”
Philippe annuì, comprendendo bene la sua paura. “E le altre donne? Anche loro sono andate a dormire?”
Valerie annuì. “Siamo tutte stremate, monsieur. Madame Lemoine ha persino chiuso la casa. Sono tre giorni che non facciamo altro che piangere, cercare di alleviarle la febbre e vegliarla come se lei potesse volar via da un momento all’altro. Ora che il dottore ha detto che può farcela, finalmente possiamo riposare un po’.”
“E voi perché non siete andata ancora a riposare?”
La donna sorrise dolcemente. “Non riuscirei a dormire sapendo che lei potrebbe svegliarsi e aver bisogno di me…”
“Voi e Monsieur Delacroix sembrate particolarmente legati a Giulia.” Disse, ma vedendo che la ragazza si limitava ad annuire, continuò. “Vi prego, raccontatemi qualcosa. Mi sembra di non sapere più nulla di lei.”
Valerie lo fissò stupita. “La conoscete da una vita…voi sapete già quello che avete bisogno di sapere su di lei.”
“Conoscevo Giulia, è vero. Ma questa Julienne…non so. Mi sembra di non riconoscerla. Il fatto stesso che ci siano tante persone che la amino mi sembra strano.”
Valerie aggrottò le sopracciglia perfettamente depilate. “Perché dite questo?” la sua voce suonò un tantino aggressiva. Philippe sorrise. “A Napoli non c’erano molte persone a cui stesse simpatica. Sicuramente molti uomini la corteggiavano, ma non ricordo che avesse delle amiche o degli amici. Soltanto io e suo fratello la comprendevamo e l’accettavamo per quello che era.”
“E cioè? Cos’era?”
Il sorriso di Philippe divenne quasi luminoso. “Una perfida stronza.”
Valerie scoppiò a ridere, ma si premette le mani sulla bocca per evitare di svegliare la sua signora. “Sapete una cosa, monsieur Philippe?”
Philippe non la corresse. Gli piaceva quella donna. “Cosa?” la incalzò.
“E’ ancora una perfida stronza, ma solo all’apparenza. Ha un cuore d’oro, la signora, ma si sforza di nasconderlo.” Valerie sorrise con tenerezza alla figura raggomitolata tra le lenzuola bianche. “Quando è arrivata qui pensavamo tutte che l’avremmo odiata. Molte minacciarono Madame Lemoine di andarsene. Ci guardava dall’alto in basso! Disse che dovevamo obbedirle e che la prima che non avesse mostrato un adeguato rispetto nei confronti suoi e di Madame Lemoine sarebbe stata buttata fuori a calci. Eravamo terrorizzate e furiose. Non riuscivamo a capire come una donnetta così minuta, una ragazzina che fingeva di essere una gran signora, potesse avere un tale potere su di noi. Poi però lei disse che ci avrebbe raddoppiato il salario e che per ogni cliente che se ne andava soddisfatto avremmo avuto dei soldi in più. Inutile dirvi che a quel punto decidemmo tutte di restare.”
Philippe ridacchiò. “Lo credo bene.”
Valerie gli rivolse un’occhiata eloquente. “Non è finita qui. Ci obbligava ogni giorno a seguire le sue lezioni di portamento e a leggere romanzi. Diceva che ci avrebbe aiutato a imparare a parlare bene, come delle vere signore. Voleva attrarre la migliore clientela di Parigi e per farlo aveva bisogno di prostitute di lusso, mentre noi eravamo solo delle ragazzotte pescate dalla strada. Però imparammo, monsieur, imparammo eccome. Madame mise subito in chiaro che chi non aveva voglia di migliorarsi era meglio che se ne andasse e si mettesse a fare la prostituta per strada. Nessuna di noi però voleva ridursi a quello. La nostra vita era già abbastanza degradante. Se aveste visto questo posto qualche anno fa…era davvero orribile. Pieno di spifferi e tutto malandato. La signora però ha rimodernato tutto ed ha assunto degli uomini che proteggessero lei e noi. Senza contare che è riuscita a incuriosire così tanto gli uomini di Parigi da assicurarsi tutti i migliori clienti. C’è gente importante che viene qui, sapete? Banchieri, avvocati, membri del Parlamento, aristocratici persino…”
Philippe era affascinato dal suo racconto. Giulia era sempre stata una ragazza piena di risorse, furba e intelligente, ma di qui ad immaginarla come una vera e propria donna d’affari…
“Ho sentito che Madame Rouge è famosa per i suoi spettacoli. Cosa fa esattamente?”
Il volto di Valerie sembrò illuminarsi. “Canta, monsieur e balla anche. Ma lo fa in biancheria intima! Qualche volta da sola e qualche volta accompagnata da vere e proprie ballerine. Lei eccita i clienti con i suoi balletti sensuali e poi le ragazze della casa li intrattengono, perché Madame Rouge non si concede a nessuno. Questo tutti gli uomini lo sanno e li fa impazzire. Tutti vogliono conquistare Madame Rouge, ma nessuno di loro ci è mai riuscito. E’ una sfida ormai, capite? Ognuno scommette su chi sarà l’uomo che riuscirà a far capitolare l’inaccessibile Julienne Rouge.”
“Volete davvero dirmi che Giulia non ha nessun amante?” Philippe la fissò con sguardo scettico. Giulia era un’edonista, una creatura troppo sensuale per rimanere sola la notte.
“Nessuno, che io sappia.”
Philippe si strinse nelle spalle, poco convinto. “Tuttavia ancora non ho capito una cosa.” Fissò la ragazza dritto negli occhi. “Perché voi, più delle altre, siete così legata a Giulia?”
Valerie sostenne tranquillamente il suo sguardo. “Perché non potrò mai ripagare madame per quello che ha fatto per me.” La ragazza fece una pausa, attorcigliandosi le mani mentre rifletteva. “Non sono più una prostituta. Ora faccio la cuoca. Ci credete?”
Philippe la fissò sconcertato. “Sul serio?”
“Si. Oh mi tingo ancora i capelli. Che volete farci, mi piacciono troppo i capelli rossi!” Valerie ridacchiò, ma poi tornò seria. “Stavo male quando facevo quel mestiere. Non riuscivo ad abituarmi, mi sentivo sporca…” Deglutì e rivolse una rapida occhiata all’uomo che le sedeva vicino. Lui la fissava con un’espressione imperscrutabile. “Madame se ne accorse. Un giorno mi mandò a chiamare nel suo salottino privato, quello dove accoglie gli uomini che vogliono la massima discrezione e dove discute con altri di affari. Mi fece sedere sul divano e mi diede del cognac. Poi con molto tatto mi disse che aveva notato la mia inquietudine e che…sapeva…sapeva di quando io…io piangevo…” Valerie deglutì con più forza, inghiottendo quel senso di oppressione che la coglieva ognivolta che ripensava a quel periodo della sua vita. “Mi disse che se non volevo non dovevo farlo. Mi diede dei soldi e mi consigliò di iscrivermi ad un corso di cucina.” Sul volto bello e tormentato di Valerie tornò il sorriso. “Un corso di cucina! E chi ci aveva mai pensato? Dopo sei mesi tornai qui e lei mi assunse come cuoca. Ora cucino per le ragazze e anche per i clienti. Gli uomini vengono qui non solo per le donne. Alcuni si limitano ad assistere agli spettacoli, a mangiare e bere e chiacchierare, poi pagano la quota standard e se ne vanno a casa.”
Philippe annuì. Aveva sentito dire che il Rouge Et Noir era ormai un punto di ritrovo per gli uomini della media e alta borghesia, oltre che una casa di piacere.
Valerie sbadigliò con contegno, poi si chinò su Giulia per controllare che la febbre non fosse alta. Dalla sua espressione tranquilla Philippe dedusse che non dovesse essere salita. “Valerie, perché non andate a riposare un po’? Resto io qui con Giulia. Non la lascerò nemmeno un attimo, ve lo giuro.” Le propose con premura.
Valerie gli regalò un bellissimo sorriso. “Vi ringrazio, monsieur. Credo proprio che dovrei dormire qualche ora o domani non mi reggerò in piedi. Controllate però che la febbre non salga e se dovesse succedere venite subito a chiamarmi. Io dormo nella stanza a fianco.”
Philippe annuì e dopo qualche attimo si ritrovò da solo. Solo con la sua Giulia.
C’erano ancora tante cose che avrebbe voluto sapere sulla donna addormentata. Una volta l’aveva conosciuta meglio di quanto conoscesse se stesso, ma adesso gli sembrava un’altra donna. Forse era davvero cambiata. Forse non era più la Giulia che ricordava. Tante domande gli si affollarono nella mente. Che fine aveva fatto l’uomo con cui era scappata da Napoli cinque anni prima? Come aveva conosciuto suo marito, Antoine? Lo aveva amato? Che rapporto avevano avuto? Cosa la legava, invece ad Andrè? E perché la scelta di rilevare un bordello e rimetterlo a nuovo?
Ma soprattutto: perché era scappata da Napoli? Cosa l’aveva spinta a fuggire via, a lasciarsi la sua famiglia, i suoi amici, tutto ciò che conosceva alle spalle, senza mai più voltarsi indietro? Era stato l’odio verso di lui? O l’amore verso di lui? O semplicemente era stato un atto di ribellione contro la sua famiglia così convenzionale? I Rossi erano stati una famiglia completamente entro gli schemi. Erano persone agiate, ma non sfrenatamente ricche e si erano guadagnati tutto ciò che avevano con il lavoro e la forza di volontà. I genitori di Giulia erano persone tranquille, abbastanza severe, discretamente affettuose verso i loro figli. Giorgio, il fratello più grande, era stato un adolescente come tutti gli altri, non particolarmente studioso e non particolarmente combinaguai. Le due sorelle più piccole di Giulia, invece, erano delle bambine tranquille, un po’ viziate, ma ben educate e moderatamente belle. Erano una famiglia senza drammi, che viveva un’esistenza gradevole e rispettava le regole del decoro. Ma Giulia, Giulia era l’eccezione a tutto quello. La Natura l’aveva dotata di una bellezza peccaminosa, che lei aveva saputo sfruttare sin da quando era bambina. Curava il proprio aspetto fino all’estremo, facendo di se stessa un’opera d’arte. I suoi capelli dovevano essere sempre acconciati in maniera perfetta, i suoi occhi risaltati in maniera adeguata dai colori dei vestiti, dei cappelli e del più insignificante accessorio. E i suoi difetti…dovevano essere assolutamente nascosti. Aveva i fianchi larghi, per cui indossava sempre gonne piuttosto morbide, in modo che non mettessero in risalto la loro curva pronunciata e faceva sempre in modo che nessuno riuscisse a scorgere le sue caviglie, non molto esili e delicate. Per il resto, era bellissima. La sua bocca sembrava gridare a gran voce che baciarla sarebbe stato un piacere estatico, i suoi occhi maliziosi, scuri eppure venati di strane sfumature, promettevano sogni erotici e i suoi capelli lunghissimi, folti, simili a onde di cioccolato, rendevano impossibile per un uomo non desiderare di toccarli almeno una volta, per poter verificare se fossero davvero così setosi come apparivano. Lui stesso, più di una volta, era stato tentato da quelle meraviglie, ma non aveva mai ceduto, non aveva mai ammesso ad anima viva che il suo sangue si accendeva quando Giulia lo toccava col suo fare provocante. Era la sorellina di Giorgio, la sua grande amica, la piccola con cui scherzare e assolutamente da proteggere. Ma più di tutto, lui conosceva troppo bene Giulia per peccare di ingenuità e credere di poterla gestire. Era meglio continuare a trattarla semplicemente come un’amica, perché se lei avesse anche solo intuito che lui era debole di fronte alle sue tentazioni come qualsiasi altro uomo, ne avrebbe approfittato alla grande. Lo avrebbe manipolato, come faceva con chiunque, lo avrebbe usato, come faceva con tutti quegli uomini tanto sciocchi da innamorarsi di lei, che prometteva, prometteva, ma non dava mai.
Un rapido sguardo al dipinto alla sua sinistra lo catapultò come d’incanto nella sua Napoli, in una tiepida giornata di Maggio di sei anni prima. Lui e Giulia erano usciti insieme a Giorgio a zonzo per la città, ma poi avevano incontrato Nadia Della Valle, di cui il ragazzo era follemente innamorato, che passeggiava per Via Toledo insieme alla cugina. Giulia, che non sopportava che altre ragazze le rubassero la scena, si era indispettita e aveva iniziato a protestare.
“Vorrei continuare la mia passeggiata, se non vi spiace.” Aveva detto col suo solito tono perentorio che faceva sembrare ogni sua parola un ordine. L’ombrellino che aveva in mano aveva cominciato a roteare, segno che lei si stava innervosendo.
“Allora avviati da sola..!” aveva sbottato Giorgio, tornando poi a rivolgersi a Nadia, mostrando il suo sorriso più affascinante alla ragazza, i cui boccoli biondi incorniciavano un viso d’angelo. Non era difficile immaginare perché Giorgio fosse innamorato di lei. Era dolce, era bella e i suoi occhioni azzurri comunicavano una sensibilità e un’innocenza che avrebbe spinto qualsiasi uomo a dare la vita pur di proteggerla. Tuttavia, all’epoca non avrebbe mai immaginato che quella ragazza sarebbe diventata poi sua moglie. La sua amata Nadia. La sua compagna di vita.
Giulia, intanto, era diventata fuoriosa e i suoi occhi avevano cominciato a scintillare pericolosamente. “Penso che tu possa meglio impiegare il tuo tempo, piuttosto che sprecarlo a corteggiare una sciocca che nemmeno ti vuole.” Il suo tono era stato tranquillo, falsamente tranquillo e il sorriso che aveva rivolto a Nadia ancora più falso. Giulia sapeva come provocare e spesse volte anche una persona mite poteva essere spinta a istinti violenti di fronte alla sua indifferente sfacciataggine.
“Co-come?” aveva balbettato la ragazza dai biondi capelli. “Vostra sorella mi ha appena dato della sciocca, Giorgio?”
Giorgio si era voltato verso la sorella e Philippe aveva letto nei suoi occhi la voglia matta di picchiarla, lì di fronte a tutti. Per evitare che succedesse, era intervenuto tempestivamente. “Giulia, perché io e voi non continuiamo la passeggiata, mentre vostro fratello si intrattiene ancora un po’?” aveva proposto e senza aspettare una risposta l’aveva praticamente tirata fino alla carrozza e l’aveva obbligata a salire, sedendole poi di fronte.
Lei lo aveva fulminato con lo sguardo. “Perché lo hai fatto?” aveva sbottato.
“Perché, altrimenti, tuo fratello ti avrebbe mollato un ceffone, chéri.” Le aveva spiegato con tranquillità. La carrozza avava cominciato a camminare sobbalzando e il cappello azzurro di Giulia le era scivolato dalla testa. Lei lo aveva ripreso con stizza e se l’era infilato di nuovo sul capo. “Odio quella scemetta.” Aveva sibilato.
Philippe si era messo a ridere, ignorando i suoi occhi pieni di ira che lo guardavano minacciosi. Aveva allungato le mani verso il suo cappello e glielo aveva aggiustato sulla testa. Poi le aveva preso il mento fra le dita e le aveva sorriso con dolcezza. “Mon petit, non devi essere gelosa.” L’aveva rimproverata. “Tuo fratello amerà sempre più te, è ovvio. Sei sua sorella.”
Giulia gli aveva sorriso con malizia. “Non sono gelosa di Giorgio. Quel caprone di mio fratello può fare ciò che vuole. E’ di te che sono gelosa.”
Philippe si era ritirato sul suo sedile e si era appoggiato allo schienale. L’aveva guardata con il suo solito modo di fare, tra la condiscendenza e il divertimento. “E perché mai saresti gelosa?”
“Perché quell’oca bionda ti fa sempre gli occhi dolci. E io non lo sopporto.” Gli aveva detto col suo miglior tono petulante. Philippe aveva riso guardandola atteggiare le labbra in un delizioso broncio da dama offesa.
“La signorina Nadia è molto graziosa, ma non la sottrarrei mai a tuo fratello. Non temere, chéri, per il momento sono ancora tutto tuo.”
“Per il momento.” Aveva ripetuto lei, accigliandosi.
“Vorresti che fosse per sempre?” le aveva chiesto con dolce ironia.
“Certo che si. Tu sei mio. Non voglio condividerti con nessuna stupida.” Era stata la sua risposta arrogante.
Philippe, ancora una volta, non aveva potuto evitare di ridere della sua sfacciataggine. “Io non ti appartengo, Giulia. Siamo amici, gli amici non si appartengono.”
Lei aveva sbuffato e si era tolta il capello di testa con uno scatto nervoso. Si era aggiustata i riccioli in quella maniera così femminile che faceva impazzire i giovanotti che le ronzavano sempre intorno. “Non sono d’accordo.” Aveva protestato con indifferenza. “Sai che io sono solo tua.” Aveva poi aggiunto con una nota sensuale nella voce degna di un’amante molto più matura dei suoi diciannove anni.
“Ah si?” aveva replicato Philippe con ironia. All’epoca già non si stupiva più del sottile erotismo che aleggiava fra loro quando erano soli. La loro amicizia, in qualche punto fra l’adolescenza e l’età adulta, aveva smesso di essere fraterna ed aveva assunto sfumature strane e inaspettate. Philippe aveva volutamente continuato ad ignorare che Giulia fosse cresciuta, che fosse tanto bella e sensuale e che ormai fosse impossibile trattarla come una sorella.
“Dove siamo diretti?” gli aveva chiesto con indifferenza, come se non avesse appena dichiarato di appartenergli.
“A Mergellina. Ho voglia di vedere il mare.” Aveva risposto Philippe, guardando oltre il finestrino la strada che scivolava via veloce.
“Ma se qualcuno ci vede senza Giorgio penserà che sono una svergognata.” Protestò senza nessun ansia, ma con una sottile vena scherzosa e maliziosa nella voce.
“Tutti sanno già che lo sei, mia cara.” Aveva ribadito lui.
A Mergellina il vento proveniente dal mare soffiava leggero sui loro volti e il sole quella giornata splendeva alto nel cielo. Centinaia di piccole imbarcazioni popolavano il Golfo, esattamente come nel dipinto di Andrè, mentre Castel dell’Ovo vegliava la baia come un gigante buono, addormentato alle pendici del Vesuvio sullo sfondo.
Il cappellino di Giulia era volato via, spinto dal vento, e Philippe lo aveva recuperato con un balzo. Giulia aveva riso e gli si era piazzata davanti con una mano sul fianco e la testa inclinata di lato. “Che uomo che sei, Philippe!” Gli si era avvicinata di più, finchè le sue gonne fruscianti avevano sfiorato i suoi pantaloni. “Così agile e…prestante…” Giulia aveva fatto scorrere un dito sul suo petto e Philippe le aveva afferrato il polso per farla smettere. Lei aveva riso, inclinando la testa all’indietro, deridendolo per le sue bigotte resistenze.
Philippe, esasperato, aveva tirato un sospiro e le aveva rimesso il capello in testa. Lei aveva ripreso a camminare e lui l’aveva seguita, da bravo gentiluomo, lottando contro se stesso per evitare di fissare senza ritegno i suoi fianchi dondolanti.
Giulia si era fermata pochi passi più avanti. Si era voltata verso il mare, si era tolta il cappello e aveva aspirato il profumo che proveniva dall’immensa distesa d’acqua. I suoi riccioli scuri, lasciati cadere in gran parte sulle spalle, si agitavano intorno al suo viso, mossi dal vento. Era una delizia per gli occhi poterla guardare.
“Mi mancherà tutto questo, quando andrò via.” Aveva mormorato.
“Quando andrai dove?” le aveva chiesto Philippe, avvicinandosi a lei, mentre si appoggiava con un fianco contro il muretto basso di pietra che costeggiava il lungomare.
“Non lo so. Lontano…” Lo aveva guardato con i suoi occhi scuri accesi di sfumature che apparivano quasi viola e gli aveva rivolto un sorriso tenue. “Voglio vedere il mondo, Philippe.” Gli aveva confessato, poi si era voltata di nuovo verso il sole e il mare e aveva allargato le braccia in un gesto plateale. “Voglio essere libera!” aveva gridato. Philippe era scoppiato a ridere e l’aveva attirata fra le sue braccia.
“Dimmi dove vuoi andare e ti ci porto io…” le aveva sussurrato, cedendo al pericoloso impulso di assecondare, per una volta, i suoi giochi.

“Londra, Parigi, Lisbona…New York!” aveva esclamato lei, poi entrambi avevano riso ed erano rimasti per un lungo istante abbracciati, accarezzati dalla brezza marina, dal sole brillante di Maggio, in una dolce primavera della loro giovane vita.

Attrazione, Amanda Quick

Copertina, dettaglio
TRAMA: Londra, periodo Regency. Amanda Huntington è un'ereditiera, ha ventiquattro anni ed è una donna intelligente e un po' sfacciata. Lucas Mallory Colebrook, ultimo conte di Stonevale, ha bisogno di soldi per risollevare le sue terre e chiede ad una sua vecchia amica (e vecchia fiamma) di presentargli un'ereditiera. Fra le varie signorine di buona famiglia in possesso di una cospicua fonte di denaro, è Victoria ad attrarre l'attenzione del conte. E Lucas è deciso a conquistarla. Come fare per convincere una donna indipendente e assolutamente contraria al matrimonio ad accettare il suo corteggiamento? Semplice, tentandola con ciò che lei più anela: l'avventura!
"Strategia" è la parola che Lucas ripete continuamente nella sua testa. Ex soldato e avvezzo al comando, non può far a meno di pensare da militare e ciò giova a suo vantaggio. Alla fine, il conte di Stonevale riesce ad ottenere ciò che cercava: il matrimonio con Victoria. Ma è soltanto adesso che le cose cominciano a diventare davvero difficili....
E come se la guerra per conquistare il cuore della sua sposa non fosse già abbastanza complicata, ci sono anche un intrigo e numerosi segreti da svelare...

LA MIA OPINIONE:
Esilarante è la prima parola che mi viene in mente. Un historical romance ben scritto, avvincente, mai volgare, anche divertente in alcune scene. La nostra Amanda non delude, neppure stavolta. Certo, il titolo italiano è davvero banale e non adatto alla trama. Il titolo inglese, Surrender che sta letteralmente per "resa", è molto più  comprensibile e idoneo. Infatti, "resa" è una parola che il nostro Stonevale pronuncia spesso e che cerca di ottenere in ogni modo dalla sua bella sposa. Io avrei preferito qualcosa come "La Dama d'Ambra", o "Incontri di mezzanotte". Avrebbero di certo stimolato di più la fantasia di una lettrice che si accinge a comprare il libro. In ogni caso, non è il titolo che fa la differenza, ma la trama e, soprattutto, i personaggi!
Victoria è a dir poco straordinaria. Intelligente, avventurosa, orgogliosa, colta, capace e indipendente. Mi somiglia così tanto che immedesimarsi in lei è stato facilissimo. Anche Lucas è un personaggio ben fatto, delineato nel modo giusto, con pregi e difetti che la lettrice riesce a cogliere perfettamente. Odio quei protagonisti maschili indefiniti, le cui uniche caratteristiche sono "bello, bruno e prepotente". No, Lucas non è solo questo. E' un ex soldato con la tendenza a pensare ancora da militare. E' autoritario, si, ma anche carismatico e comprensivo. Il suo corteggiamento verso Victoria è qualcosa di veramente originale, perfettamente adatto ad una donna eccentrica come lei.
Mi è piaciuto la presenza concreta della scienza in questo libro. E' uno dei pochi libri in cui la parola "intelligente" affibbiata alla protagonista venga anche giustificata in maniera completa ed adeguata. Victoria è davvero intelligente, è davvero colta e i suoi ragionamenti mostrano una vera e reale acutezza mentale.
Ho apprezzato anche molto il fatto che metà del romanzo si basi sulla loro convivenza sotto il tetto coniugale e che non si sia basato tutto sul corteggiamento, che si conclude poi banalmente col matrimonio e col "vissero per sempre felici e contenti".
Amanda (o forse dovrei chiamarla Jayne?) ha dato davvero il meglio di sé in questo libro.
Vi lascio con la dichiarazione (non proprio d'amore) di Lucas, che è una delle migliori che abbia mai letto:
"Ho intenzione di corteggiarti, adorarti, sedurti. Ti farò mia, Victoria. Soltanto il pretendente più coraggioso e deciso sopporterebbe ciò che io sarò obbligato a sopportare per riuscire a conquistarti, ma alla fine ti avrò."